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Che Antichrist sia l'ultimo

Lars von Trier: faccio film solo per me.
di Pino Farinotti

Mettersi a nudo
Charlotte Gainsbourg (Charlotte Lucy Gainsbourg) (52 anni) 21 luglio 1971, Londra (Gran Bretagna) - Cancro. Interpreta Lei nel film di Lars von Trier Antichrist.

lunedì 1 giugno 2009 - Focus

Mettersi a nudo
A Cannes, col suo Antichrist, Lars von Trier si è messo a nudo, completamente, e il "corpo" si è mostrato sgradevole, devastato. A "completamente" aggiungo "crudelmente", per sé e per noi. Lars nudo non è stato un bello spettacolo. E dico: nessuno obbliga nessuno ad andare al cinema. A vedere Antichrist va poca gente, e questa è la buona notizia. Ma ce n'è una migliore, Lars è stato sconfessato persino dai suoi amici, dai critici. Da anni dico che Trier è il grande sopravvalutato, possiede una parte di talento, ma troppo parziale. Nella prima sequenza del film marito e moglie fanno l'amore anzi, fanno sesso, con trasporto estremo: con tanto di breve stralcio hard: un passaggio veloce di membro in azione... può essere utile. Così il loro bambino, distratto da qualcosa che ha visto fuori dalla finestra, si arrampica e riesce ad aprire. Dolcemente, fra i fiocchi di neve, nelle note e nelle parole di Handel "Lascia ch'io pianga/ mia cruda sorte/ e che sospiri la libertà..." il bimbo precipita e si sfracella al suolo. Il senso di colpa assale la coppia. Lei quasi ne muore, lui, più forte e cinico, terapeuta di professione, si prende la responsabilità della cura della moglie. Da quel momento i due si dilaniano. Il regista non ha nessuna pietà o attenzione o mediazione, non fa prigionieri. Pesca nel proprio profondo, e fa emergere il vero se stesso.

Sadomaso
Dunque terapia sadomaso, streghe e demoni, animali simbolici-di-senso-di-colpa che parlano, la casa horror nel bosco, come farsi male (in coppia) il più possibile, macina da mulino sigillata-non-estirpabile-a-coscia, e taglio di clitoride con forbice da parte di moglie, e masturbazione con schizzo di sangue. Con metafora finale dell'inferno, o del castigo. A Trier sta a cuore che gli esseri umani debbano soffrire fino alla fine, possibilmente morire. Sta a cuore che agli esseri umani (meglio se donne) non venga concessa speranza. Nel suo Dancer in the Dark, la giovane Selma, operaia cecoslovacca emigrata in America, malata di cecità progressiva, risparmia i soldi per curare il suo bambino che ha la stessa malattia ma è operabile. Un poliziotto le ruba i soldi, lei lo uccide. Potrebbe salvarsi dall'impiccagione ma preferisce usare il denaro per la cura del figlio. La impiccano e Trier ti fa sentire anche il rumore del collo che si spezza. Nelle sue storie Trier parte dalla speranza e dalla dolcezza per poi finire ... così. Ci mette, talento, passione e compiacimento.

Diritto
L'assunto è che un artista ha diritto a tutto, a tutti gli estremi, a rappresentare tutte le proprie patologie, dalla morbosità all'arco completo dei vizi reconditi. Un assunto magnifico al quale corrisponde un diritto: quello dello spettatore di non andare a vedere i film di quell'artista. Ma questa volta c'è di più e non riguarda il pubblico ma i fedelissimi di Trier, che sono i critici, appunto. A Cannes, durante la proiezione riservata appunto alla critica, la platea assisteva silenziosa, c'era disagio tattile, fino a quando la volpe portatrice di complesso di colpa dice al terapeuta "il caos regna", e lì si è levata la prima risata, ed è stato l'inizio, il credito dell'autore non ha più tenuto, ha cominciato a sgretolarsi, e fra fischi di decibel sempre maggiori, il muro di Trier è crollato. Deluso, arrabbiato, offeso, Lars ha detto che quel riscontro non gli interessava, che lui aveva sempre fatto i film solo per se stesso. L'artista era nudo, anche il quel senso.
Questo film "cattivo" a oltranza è anche una dichiarazione estrema di onestà. Tutto il film è occupato dall'attitudine, dalle patologie, dal privato, dalla vita senza ideologie. Non c'è spazio per altro, neppure per il sociale, che pure è sempre stata un'opzione prevalente per il regista. Del resto tutto questo viene preventivamente dichiarato in prima persona nel pressbook: "vorrei invitarvi a un piccolo sguardo dietro il sipario, uno sguardo nel buio mondo della mia immaginazione, nella natura delle mie paure".

Non amore
È trasparente il non amore del regista verso gli esseri umani, privilegiando, sì, le donne. Non conosco Lars e non ho gli elementi per dire che odi se stesso. Ma applicando i termini dell'equazione dei suoi film si può azzardare: odia se stesso e molto, ama far del male (al pubblico) per farsi fare del male . Ci si domanda cosa può fare ancora. Antichrist dichiara tutte le logiche per essere l'opera ultima, il testamento finale. Quali evoluzioni sono ancora possibili nella "poetica" dell'artista? Altri autori, alla fine, avevano detto tutto ed erano stanchi. Come Fellini, che era rimasto senza energia così come i suoi scrittori, o Bergman che si ripeteva senza l'ispirazione dei tempi migliori. L'ultimo Wenders si rifugia nelle piccole passioni private, come la musica: ha concesso moltissimo, adesso concede solo a se stesso, ma senza odiare o farsi odiare. L'inverosimile de Oliveira (101 anni) prosegue imperterrito, uguale a se stesso, nella sua stucchevole noia di qualità. Anche Woody Allen concede sempre di più al proprio recondito, ma è leggero e fa ridere, e non è poco. Anche Pasolini alla fine si era concesso troppo del proprio recondito. Lo ha trasmesso arbitrariamente, senza discrezione, con quei suoi ultimi film senza limiti e salvaguardia. E per lui non era un fatto di senilità, valeva la frase di Trier "faccio i film solo per me stesso" con in più quella cifra pericolosa che poi è emersa con la sua fine. Peccato, ha compromesso la sua opera prima della ... tracimazione.

Errore
Trier non ha neppure cinquant'anni, dunque non è senilità, ma ha commesso un errore di valutazione, grave per un artista: la presunzione di essere accreditato, di possedere l'attestato di maestro, di essere esempio ed eroe, e dunque di aver diritto alla franchigia e magari all'immunità. Quei maestri, quei "legislatori" ci sono, soprattutto ci sono stati, nel tempo, anche lontano, e hanno lasciato un segnale al quale noi utenti ci ispiriamo, al quale ricorriamo nei momenti utili. Questi sì, si sono guadagnati franchigia e immunità. Trier non è fra costoro. Crede di esserlo.
"Faccio i film solo per me stesso". E allora semplicemente, ingenuamente si potrebbe rispondergli "e allora guardateli tu, da solo". La mia speranza, e l'augurio (e anche coerentemente il suo) è che nelle sale dove proiettano i suoi film, ci vada poca gente, poi pochissima, poi ... nessuno. E così Lars avrà realizzato, ancora una volta "in estremo" le proprie filosofia e missione: una sua opera proiettata in una sala vuota. E voglio, a mia volta, andare oltre, come estremo. Nella sala non entra neppure lui. E avanzo ancora: sala vuota, macchina senza operatore che proietta in automatico, e la macchina che si... autoguasta. La sala, il buio, la pellicola interrotta. Il niente. Così come l'artista ha diritto a tutto, lasciamo a chi scrive il diritto alle proprie fantasie e speranze. Quando un autore si prende la responsabilità della tracimazione, la riconosce a la riconferma, allora sono fatti suoi ed è cinema suo. Il pubblico non c'entra più. Che Antichrist sia l'ultimo.

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