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Vincere: storia di un conflitto passionale

Intervista a Marco Bellocchio.
di Alessandra Giannelli

Una ribelle irrazionale
Marco Bellocchio (84 anni) 9 novembre 1939, Bobbio (Italia) - Scorpione. Regista del film Vincere.

martedì 26 maggio 2009 - Incontri

Una ribelle irrazionale
Nonostante non abbia conquistato premi a Cannes, l'ultimo film di Marco Bellocchio risulta vincente per i consensi ricevuti da pubblico e critica, soprattutto internazionale. Astraiamoci dai fatti e dalla storia, non tentiamo uno sterile paragone con i protagonisti odierni, Bellocchio se ne è espressamente distaccato, e a nulla valgono i tentativi di rileggerci quel che accade oggi, sempre a "casa nostra" (egli ha superato la sciocca associazione Ida Dalser-Veronica Lario). Ciò non può che offendere il genio dell'artista anche perché un paragone, al limite, lo si può fare con figure classiche alla stregua di Medea e Antigone. Al di là del fatto storico, quel che interessa è la passione tra il primo Mussolini (interpretato da Filippo Timi), quello socialista, rivoluzionario, ateo e questa figura ribelle di donna, lontana dall'ideale fascista di moglie e madre, che è Ida Dalser (Giovanna Mezzogiorno). Attraverso le immagini, l'autore ci parla di un rapporto ed è questa l'essenza della pellicola, un rapporto passionale, come appunto nasce, per trasformarsi in lotta, ribellione, coraggio, ostinazione. Sentimenti che hanno animato la Dalser nel rivendicare non soltanto la legittimità del figlio avuto con Mussolini, ma nel ricordare ostinatamente che di quella figura, di quell'uomo laico, di quell'ideale soprattutto ella si era innamorata, rinunciando ai suoi beni materiali. Un conflitto passionale, appunto, nel quale l'uomo si ritrova perdente, degenerando nel fascismo e dove la donna dovrà lottare per dimostrare di non essere pazza, anche perché non lo è (eloquente è il discorso del giovane psichiatra di San Clemente). L'arte di Bellocchio la si può cogliere in una regia dai toni di chiaroscuro, dove sono le immagini a parlare non il linguaggio, come nei film muti del primo Novecento (si pensi a un Ejzenštejn in chiave moderna o al miglior Kubrick); piani sequenza dai decisi movimenti che terminano la loro corsa sui volti degli amanti come a ribadire che quello che interessa è l'aspetto interno, interiore, non la storia che fa il suo corso. Una narrazione intervallata da immagini di repertorio utili, a detta del regista, per offrire il confronto con ciò che stava raccontando, ma che non fanno che ribadire le già esplicite immagini del film. Incontriamo Bellocchio per chiedergli cosa c'è dietro questa storia, che segna la sua maturità, che riscatta la malattia raccontata e fortemente espressa ne I pugni in tasca e che decreta la sua realizzazione di artista e di uomo che è andato oltre, separandosi dal suo passato.

Bellocchio, perché Cannes l'ha ignorata?
Sentendo dei cari amici, delle persone che io stimo, ma anche alcuni critici, penso che ci sia un confronto di culture diverse. In alcuni film prevalgono il compiacimento dell'orrore, la perversione, il male assoluto, un inconscio umano profondamente perverso, diventano pietre basilari su cui viene immaginata la realtà. C'è l'intento di costringere lo spettatore al malessere, allo star male come se lì ci fosse la bellezza. Pensando al cinema interpretato da Isabelle Huppert (presidente della giuria a Cannes) o da Asia Argento, che ha l'immagine della dark lady, credo che sia prevalsa un'idea del genere. Questa è una cultura, quindi, che io non condivido, ho un altro concetto di bellezza. Una tragedia come quella descritta in Vincere non ha bisogno di mostrare in primo piano l'orrore, ma di elaborarlo con immagini diverse.
Rivedendo i suoi film, come mai lei è sempre attratto dalla ribellione?
Si, è vero, è una costante, come se diventasse un obbligo. Mi interessa raccontare di personaggi che si contrappongono all'ipocrisia, al conformismo, a chi domina, al potere in forme diversissime. Per un certo numero di anni, questa era una ribellione che aveva un segno distruttivo: "io mi ribello, ma soccombo"; il pazzo è un ribelle che, però, fallisce nella sua ribellione perché non arriva a niente. Dopo, e questo è dipeso anche dalla mia vita personale, si sono progressivamente inseriti temi e personaggi, soprattutto femminili, che in qualche modo hanno modificato i termini della ribellione. Se pensiamo a Diavolo in corpo è chiaro che Maruschka Detmers (che interpreta Giulia) si ribella abbandonando il matrimonio, ma non è una ribellione che finisce in tragedia; anche in Buongiorno, notte, film che descrive un'autentica tragedia, mi sono preso alcune libertà come la trasformazione del personaggio di Maya Sansa o la fantasia di Moro libero e liberato. Anche per Vincere è come se la ribellione costante di Ida esprimesse, sia pure rispettando la conclusione, una componente di irrazionalità di lei che contraddice la tragedia; rappresenta una ribellione che non è che è vittoriosa, ma lo è il film che esprime una ribellione irrazionale.

Per quali ragioni è importante affermare la personalità di Ida Dalser?
Quando ho conosciuto questa storia, ho capito che dentro c'erano delle passioni, degli affetti, qualcosa, che prima di tutto sconvolgeva me, questa è stata la prima reazione. Questa materia l'ho sentita vicinissima, evidentemente c'erano dentro tante cose che mi riguardavano, anche la mia vita, la mia storia, la mia cultura. Infatti, col tempo, ci sono state una serie di risposte che le immagini stesse mi hanno restituito. Non ci sono state ragioni morali o etiche, ma capivo che la mia immaginazione trovava delle immagini che potevano rappresentare questa storia che, per me, è la prova più importante, che corrisponde ad una necessità di esprimermi e quindi di evitare un discorso ideologico e questo coinvolgimento, o direi sconvolgimento, è rimasto nel film. Qualcuno ci ha trovato delle attinenze, anche con la storia attuale, ma non credo si debba solo parlare di Mussolini-Berlusconi, ma del fatto che oggi, in Italia, si dà troppo consenso al vincitore ed è come se ci fosse del cinismo, un arrendersi, da parte di una grande maggioranza, per non voler più discutere di niente. Penso che molta gente, anche nel settore della cultura, abbia paura di perdere il suo posto e, quindi, non è che non parla, ma parla di meno, con più prudenza. C'è uno spostamento verso chi rassicura a parole, che assomiglia abbastanza a quel consenso quasi universale che ebbe il duce soprattutto negli anni dell'apoteosi: dalla fine anni Venti fino al termine della guerra quando ci fu la catastrofe.
Lei ha più volte descritto la Dalser come una ribelle, potremmo dire che lei se ne è "servito" per parlare, in qualche modo, della ribellione del Sessantotto?
Nel Sessantotto, al di là di un bilancio generale, ma restando all'aria che si respirava all'inizio, c'era uno spirito di rinnovamento, di ribellione, di contestazione non violenta. Non dimentichiamo che ai primi sgomberi all'università di Torino, ed io ero lì, si faceva resistenza passiva per cui i poliziotti ci prendevano e ci portavano fuori. Certo, c'è stata la grande scoperta, da parte di tanti giovani, dell' uscire da casa, della rivoluzione sessuale, più che della scoperta della sessualità, ma anche della caduta del tabù della verginità, però questo spirito di rinnovamento, di allegria e di non violenza è qualcosa che io ho percepito per un tempo brevissimo. Non dimentichiamo che dopo l'estate, alla ripresa degli anni accademici, subito è prevalsa l'idea di organizzarsi razionalmente e politicamente, formando dei partiti rivoluzionari ed io caddi in questo errore e, per alcuni mesi, mi coinvolsi in un partito di estrema sinistra di ispirazione maoista. Io non sono uno storico, ma questo spirito di libertà non violenta io l'ho percepito per poco tempo. Parlando della Dalser, quello che più mi ha interessato è stata la sua capacità di innamorarsi totalmente, di annullarsi e annientarsi, vendere tutto, essere completamente a disposizione di un uomo che si servì in piccola parte di lei. Il regime, successivamente, la prende e la rinchiude in manicomio perché disturba, perché non si può permettere una ribelle libera. Chi vuole può anche stabilire delle relazioni con il Sessantotto.

Nonostante il film sia fortemente tragico, considerati i fatti raccontati, come spiega che, invece, dalla visione non se ne esca vinti?
Evidentemente c'è anche un procedere per immagini che è abbastanza inconsueto nel cinema italiano, tranne alcune eccezioni, si fa sempre l'esempio di Sorrentino e Garrone giustamente, ma pensiamo anche ad altri giovani che fanno una ricerca sulle immagini piuttosto originale (volevo citare un film che presentammo al festival di Bobbio: Il dono di Michelangelo Frammartino). Lavorare sulle immagini e quindi su un registro irrazionale non è nella nostra tradizione. Da una tragedia si esce depressi, ma qui c'è la disperata ribellione di Ida che produce una reazione, un sentimento che non sono depressivi. Questa è la mia opinione, naturalmente. Il discorso delle immagini, quindi la musica (del grande talento di Carlo Crivelli), la fotografia (di Daniele Ciprì, che Bellocchio dice essere più di un direttore della fotografia), il montaggio (dell'abile Francesca Calvelli) formano un corpo che procede in modo dinamico, non c'è nessun compiacimento, tutto cammina. In questo senso, basandomi anche sulle reazioni che ricevo, c'è uno stupore verso le immagini che è abbastanza inconsueto.
Ripercorrendo la sua filmografia e soffermandoci sulle protagonisti femminili, ci può dire qual è la differenza tra la ribellione di Ida e quella di Giulia in "Diavolo in corpo"?
Sono le due forme ad essere diverse. Giulia è più una depressa, sta per sposare uno degli assassini del padre, in qualche modo va alla deriva e c'è una certa forma di rassegnazione. Quando incontra questo ragazzo che si innamora di lei, le suscita desiderio, uno sconvolgimento e, in un primo momento, cerca di rifiutarlo, le provoca delle crisi anche autodistruttive. Il ragazzo la sconvolge, le toglie una serie di misere certezze che lei credeva di avere ormai consolidato, a cui si aggrappava e, in qualche modo, questa passione poi la libera, la riscatta da questa dimensione di rassegnazione. Ida è una donna che si innamora attivamente, è lei che lo conquista, che si annulla e, in qualche modo, lo spaventa, come se quando lei vende tutto quello che ha, facendo un gesto eroico, lui è stupito, accetta e ritorna alla certezza della piccola fidanzata del paese, Rachele, e ai suoi progetti politici in cui una donna così appassionata, così generosa e libera rispetto a questo rapporto, non ha spazio. Lei ha un'intelligenza, una profondità tali, ma alla fine, nell'ultima fuga, lei ride non in modo derisorio, ma perché c'ha provato fino all'ultimo e chiederà di essere mandata, almeno, a San Clemente dallo psichiatra più comprensivo e più intelligente.

La degenerazione di Benito Mussolini potrebbe essere nata dalla crisi dello stesso di fronte all'immagine femminile della Dalser?
Non credo sia storicamente sostenibile, lui era già saltato nell'Interventismo. C'è quella scena strategica in cui lui la guarda veramente con stupore perché non immaginava un amore così grande, così assoluto ed eroico che l'ha portata a vendere tutto per lui e Mussolini rimane a bocca aperta, questo gesto gli genera paura e accetta, da buon materialista, il denaro e poi c'è una scena d'amore di trasporto però è come se chiudesse con lei. Non la regge, questo si, anche se è forzato dire che lui diventi il duce a causa di Ida.
Non potremmo, invece, dire che l'ostinazione della Dalser è dovuta al fatto che Mussolini è diventato fascista?
La sua ribellione è oggettivamente politica, ma uno lavora sui personaggi, lì è l'ossessione che si concentra sull'uomo Benito Mussolini. Tanto è vero che lei è convinta che lui sia circondato da nemici che vogliono distruggerla e che lui la ami ancora, poi lo capirà e gli dirà addio. Lei è rimasta, tuttavia, lucida, non le si è mai deteriorato il cervello, infatti lo psichiatra la tratta come una persona normale dicendole che sbaglia perché non ha il senso della realtà, non può combattere contro tutta l'Italia e le suggerisce di diventare attrice, di fingere e aspettare che passi.

Perché, nella narrazione del film, ha scelto di non raccontare la morte della Dalser?
Premetto che i finali sono sempre molto importanti e c'è stato un dubbio e poi una scelta di cui non mi pento assolutamente. La morte della Dalser non sarebbe stata comunque rappresentata, anche se c'erano altre possibilità di finale (tra cui Riccardo Paicher, il cognato della Dalser, che va a recuperare i famosi documenti nascosti nella cassetta, che ritrova, ma sono andati distrutti a causa di infiltrazioni d'acqua, e questo è un fatto storico), ma sono risultati una scelta posticcia. Mi è sembrato, anche per lo stile sbrigativo del film, che non indugia su niente, ma che cerca sempre di andare avanti, che poteva bastare e fosse necessaria una semplice didascalia.
Dopo "Diavolo in corpo" lei è andato avanti e si espresso con altri bei film e, quindi, non si è fermato, ma ha continuato a realizzarsi a livello artistico; da dove nasce questa sua continuità creativa?
La fantasia si modifica, si sviluppa, cresce o muore, sicuramente risponde a ciò che si vede sullo schermo: è quello che tu sei, quello che senti, che pensi, che immagini. Ciò deriva dalle scelte di vita, una dimensione mia privata. Non mi va di fare dei proclami, ma è noto che condivido la teoria dello psichiatra Massimo Fagioli. Certamente, quello che io sono è quello che si vede sullo schermo, direi meglio che ciò che si vede sullo schermo rappresenta una mia formazione personale, di certe scelte che ho fatto e di una serie di cose che sono cambiate rispetto, ad esempio, a I pugni in tasca dove le mie idee sulla realtà, sul mondo, sui rapporti umani, sulle donne erano diverse da quello che sono oggi e questo è grazie alle mie scelte personali. Posso però dire che la creazione di questo film non è stata tranquilla, ho dovuto resistere e sono felice di aver mantenuto una totale autonomia. Tutto il film è stato fatto da me, da un certo momento in poi non ne ho parlato più con nessuno, questa scelta radicale l'ho voluta difendere fino alla fine.

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