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State of play: due vite una svolta

Il documentarista scozzese Kevin Macdonald presenta a Roma State of play, thriller di impegno civile interpretato da Russell Crowe e Ben Affleck.
di Marzia Gandolfi

Gioco a due
Russell Crowe (Russell Ira Crowe) (60 anni) 7 aprile 1964, Wellington (Nuova Zelanda) - Ariete. Interpreta Cal McCaffrey nel film di Kevin Macdonald State of Play.

venerdì 24 aprile 2009 - Incontri

Gioco a due
Il pregio principale di State of play, thriller di impegno civile dello scozzese Kevin Macdonald, è che se ne può parlare prescindendo dal confronto col suo originale: The Girl in the Café, la serie televisiva di successo della BBC creata da Paul Abbott. Prima di tutto perché il film di Macdonald è qualcosa di più di un semplice adattamento, è un interessante lavoro di ampliamento e di esplicitazione, di smascheramento e approfondimento di verità politicamente rilevanti. Dopo aver dialogato col passato nei documentari One Day in September e Il nemico del mio nemico, l'autore affronta il tema delle privatizzazioni e la gloria della democrazia statunitense: il giornalismo. Del resto il giornalismo ha sempre avuto un posto di riguardo anche nella storia del cinema hollywoodiano, che ha elaborato una sorta di codice retorico relativamente al trattamento del tema e della figura del giornalista. Quello interpretato da Russell Crowe è un veterano reporter del Washington Globe, che ha pochi amici e molte fonti, un mostro di integrità e sfrontatezza alla ricerca di quello che passa per il suo primo obiettivo: la verità. Ma la morte dell'avvenente assistente di un deputato di grandi speranze e un conto in sospeso con un illegittimo passato amoroso metteranno a dura prova la sua coscienza di reporter. Il suo composto avversario è Ben Affleck, sottovalutato interprete e magnifico congressman, incapace di gestire passione e potere. State of play è un film "di storia" che coltiva un grande interesse per i colpi di scena e le soluzioni narrative, ma è pure un film di recitazione, tutto fatto di prove d'attore, quella di Russell Crowe e Ben Affleck, "rimpiazzi" nobili e generosi del capriccioso Brad Pitt e dello ieratico Edward Norton. A Roma per presentare il suo film, Kevin Macdonald confessa la frivolezza del divo hollywoodiano e denuncia i giornalisti che non hanno più chiaro il senso e il valore politico e sociale del proprio lavoro.

Dalla serie tv al cinema
K evin Macdonald: Nel mio film non ci sono riferimenti diretti alla serie televisiva della BBC. State of play e The Girl in the Café condividono l'inizio e la fine, nient'altro. Tutto quello che sta nel mezzo, lo sviluppo della storia, è inedito. Il prodotto originale non aveva un vero tema, tutto girava intorno al personaggio principale. Io invece volevo sfatare la leggenda secondo la quale Hollywood è solita prendere i prodotti europei e svuotarli, così ho provato a portare la serie tv a un livello superiore, impostando il film su due temi specifici: la questione politica (privatizzazione e formazione di un esercito di mercenari) ma soprattutto la crisi del giornalismo. Il mio film è mascherato da thriller ma in fondo è la storia di una passione umana, di un'anima che si è lasciata corrompere da quella stessa passione. Delle questioni affrontate ho dato più valore alla condizione drammatica in cui versa il giornalismo in America, denunciando le pressioni economiche, mostrando un dinosauro della stampa, come il personaggio interpretato da Russell Crowe, alle prese col blog e con un giornalismo che non controlla le proprie fonti, scrive opinioni, non cerca il confronto e si preoccupa soltanto di rendere sensazionali le notizie.

Lo stato della sceneggiatura
K evin Macdonald: La prima sceneggiatura è stata scritta da Matthew Michael Carnahan, che poi ha dovuto abbandonare il progetto a causa di un problema personale. Non ero molto soddisfatto di questa stesura, la ritenevo troppo simile al prodotto originale. I due mesi successivi ho cominciato a lavorare con Tony Gilroy, è stata la collaborazione più lunga, interrotta però dai suoi impegni lavorativi (le riprese di Duplicity). Io e Tony abbiamo completamente riscritto la sceneggiatura, trasformando i personaggi, soprattutto i loro rapporti, rendendo la storia più semplice, più agile e adatta al prodotto finale. Le ultime tre settimane invece ho lavorato con Billy Ray, che aveva già scritto film sul tema del giornalismo. Questa insomma la suddivisione dei ruoli e la distribuzione delle responsabilità. Nella serie tv il giornalista protagonista era un uomo innamorato, dall'inizio alla fine, della moglie dell'amico politico, in sei ore c'era tutto il tempo di costruire una relazione d'amore che sbocciava, si consumava e si concludeva. Sarebbe stato impossibile concentrarla in due ore, così abbiamo scelto altrimenti, presentare una storia già data, già vissuta, già passata, questo avrebbe però implicato il senso di colpa del giornalista nei confronti dell'amico. Il suo sentirsi in difetto lo condurrà, per la prima volta nella sua storia professionale, ad abbandonare il modo etico di agire e di procedere. Cercando disperatamente di aiutare l'amico, il protagonista finirà per vedere l'innocenza dove non c'è. Un giornalista dovrebbe invece sempre attenersi ai fatti e ignorare le proprie emozioni.

Lo strano caso di Brad Pitt
K evin Macdonald: Io credo nella fortuna. Sono convinto che bisogna sempre mantenere una certa flessibilità mentale, saper accettare gli imprevisti come fossero occasioni o addirittura doni del cielo. Brad Pitt è stato il mio imprevisto. Aveva espresso già da tempo il desiderio di lavorare con me ma al momento di concludere qualcosa è andato storto. Adesso, guardando indietro, credo che Brad mi abbia fatto un enorme favore. A lui piaceva molto la prima sceneggiatura, mentre io ero fermamente deciso a fare del mio film qualcosa di profondamente diverso dalla serie inglese, così alla fine mi ha detto che la nuova sceneggiatura non gli piaceva, ne abbiamo discusso per giorni ma non c'è stato nulla da fare, a quattro giorni dal ciak, ha abbandonato il set, lasciandomi in grande difficoltà. Consideri che erano già stati ingaggiati duecentocinquanta addetti alla troupe, era stato completamente allestito il set e gli altri attori erano in attesa di girare. Quello che le sto raccontando sottolinea molto bene il potere che hanno le grandi star ad Hollywood. Fortunatamente gli studios mi hanno confermato la loro intenzione di produrre il film, dandomi carta bianca sulla scelta dell'attore e a quel punto ho chiamato Russell Crowe. Ritengo Crowe uno degli attori più in gamba di Hollywood, forse il più in gamba e questo personaggio gli si adattava perfettamente. Recentemente lo abbiamo visto impegnato in commedie e in film da azione ma io credo che sia proprio questo il ruolo perfetto per lui. La differenza tra questi due attori è che per Crowe viene prima il personaggio, lui ha questa capacità di entrare nei panni dei suoi personaggi e di portali in vita, la questione si complica con Pitt perché lui prima di essere un interprete è una star hollywoodiana.

Il reporter e il congressman
K evin Macdonald: Ben Affleck sarebbe stato l'antagonista perfetto di Crowe perché ha questa qualità alla Kennedy, questa bellezza telegenica, quest'aria un po' superficiale che siamo soliti ascrivere ai nostri politici, era l'attore perfetto e pazienza se Hollywood pare averlo dimenticato. Sulla carta avevo due personaggi antitetici e volevo che lo fossero anche fisicamente. Ben Affleck nel film è sempre perfetto, un modello di precisione e misura, mentre Russell Crowe, al contrario, doveva sembrare sciatto, consumato, sformato. Desideravo che lo spettatore comprendesse subito quanto le loro vite e le loro storie personali, condivise insieme all'università, si fossero poi separate procedendo in direzioni opposte.

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