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Fuori menù: Come si cucina il progressismo ispanico

Dalla terra di Zapatero e dei Pacs arriva una commedia che (ri)mescola l'idea di famiglia e di orgoglio gay.
di Edoardo Becattini

Una gay-commedia per famiglie
Javier Cámara (57 anni) 19 gennaio 1967, Albeda de Iregua (Spagna) - Capricorno. Interpreta Maxi nel film di Nacho García Velilla Fuori menù.

mercoledì 22 aprile 2009 - Incontri

Una gay-commedia per famiglie
Come un sofisticato piatto di cucina creativa, la commedia spagnola Fuori menù è un tentativo di far coincidere nello stesso piatto ingredienti apparentemente inconciliabili. Così, lavorando di spirito artistico e brioso, Nacho García Velilla, regista molto noto in Spagna per un serial di grande successo (il format originario che ha dato vita al nostro Medico in famiglia), ha creato una singolare commedia per famiglie inserita nel nuovo spirito del tempo, ovvero il socialismo dell'era Zapatero.
Volutamente al di fuori quindi sia dai canoni wasp della commedia hollywoodiana che dalla metodica trasgressione di serial come Sex and the City o meglio (vista anche la tematica del film) Queer as Folk, Fuori menù ci porta nel cuore della gay culture di Madrid, il quartiere de La Chueca, per raccontare gli imprevisti della vita di Maxi, cuoco e gestore di uno dei ristoranti più à la page della zona, che si ritrova improvvisamente a dover gestire un vicino di casa molto attraente e due figli sbucati da un precedente matrimonio di copertura.
Ad aiutare il regista in questa sperimentale ricetta "progressista", due volti del più recente cinema di Almodóvar: Javier Cámara, protagonista di Parla con lei, e Lola Dueñas, sorella di Penelope Cruz in Volver.

La Spagna è davvero quel paradiso che anche molti italiano sognano, dove convivono libertà di pensiero e ideali laici?
J avier Cámara: In Spagna abbiamo una democrazia ancora piuttosto recente, quindi è normale che le battaglie per i diritti civili e le libertà personali vengano vissute con un'energia ed una forza estremamente intense. La sinistra di Zapatero è in effetti riuscita a cambiare molto e in tempi molto brevi ed è forse questo ciò che ha contribuito all'estero a dare alla Spagna l'immagine di una nuova terra di libertà e progresso. Allo stesso tempo però non dobbiamo dimenticare che il nostro è ancora un paese fortemente machista, nel quale resistono ancora con forza alcune ideologie estremamente conservatrici che non vedono il progressismo come una battaglia positiva, e che nel film sono rappresentate in modo divertente dai genitori di Maxi, il mio personaggio. Non dimentichiamo poi che la Spagna è un paese fortemente cattolico e che anche Zapatero si è confrontato con questo elemento quando ha sospeso la legge sull'aborto per non interferire diplomaticamente con il nunzio apostolico che era venuto in visita nel nostro paese.
Nacho García Velilla: La Spagna ha questa gioia quasi infantile nel condurre le sue battaglie per la libertà perché, proprio come i bambini, appena trova una spazio per potersi esprimere liberamente lo coglie al volo e lo vive con il massimo entusiasmo. Forse è proprio questa la maggiore differenza con gli altri paesi europei che vivono la democrazia da più tempo e che magari non conservano più quell'euforia per la libertà di espressione che noi conosciamo solo da trent'anni.

Qual è l'immagine del rapporto fra orgoglio gay, etica del lavoro e idea della famiglia che il film vuole esprimere?
V elilla: La situazione di Maxi è la situazione di confusione che vive tutta la Spagna che dalla repressione della dittatura franchista è passata ad essere una delle democrazie più liberali d'Europa in pochi decenni. Ciò si riflette in una società ancora fortemente divisa su posizione stagne, che non da tutti viene vissuta con la serenità che si pensa. Penso che Fuori menù trasmetta bene questa difficoltà lavorando sia su un registro comico che su vari momenti riflessivi.
Che ne pensa del paragone con Almodóvar che campeggia su tutti i manifesti?
Velilla: È senza dubbio un paragone che mi lusinga moltissimo perché per me come per tanti altri registi spagnoli Almodóvar è un vero maestro. Ma è anche vero che abbiamo linguaggi estremamente differenti. Io ho lavorato molto per produzione televisive, un passato di cui sono in qualche modo orgoglioso, ma penso che rispetto al mio prodotto più famoso (la versione iberica del serial Un medico in famiglia), Fuori menù sia piuttosto differente. Un medico in famiglia è stato concepito fin dall'inizio come un prodotto universale, destinato ad un pubblico amplissimo e perciò rappresentante una Spagna molto idealizzata. In Fuori menù ho cercato invece di essere molto più vicino alla società contemporanea, e credo di aver descritto una Spagna molto più reale.

Pensa quindi che il registro del suo film sia più vicino a Buñuel o Almodóvar?
V elilla: Io sono aragonese quindi per me Buñuel rappresenta una divinità. Buñuel non è stato solamente un grandissimo regista ma anche un poeta, un filosofo, uno scrittore. Uno di quei grandi geni della modernità con i quali è impossibile anche solo cercare di confrontarsi in modo diretto. Per quanto riguarda Almodóvar ho moltissimo rispetto per il suo lavoro, ma penso che all'estero si tenda troppo ad identificare il cinema spagnolo con il suo nome. Il cinema spagnolo contemporaneo è in realtà ricchissimo: ci sono grandi nomi noti anche fuori dai nostri confini come Alejandro Amenàbar, Juan Antonio Bayona che forse sono giudicati meno rappresentativi perché si sono confrontati soprattutto con film di genere. Ma probabilmente il paragone che tutti mi propongono con Almodóvar è dovuto soprattutto alla presenza dei miei attori...
Cámara: I figli prendono sempre esempio dai padri. Quindi è chiaro che Almodóvar è in un certo senso un padre per molte persone che lavorano nel cinema spagnolo, sia registi che attori. È l'artista con il linguaggio più universale ed è per questa sua incredibile capacità di parlare a tutti che ha avuto questo grande successo all'estero. Ma in effetti non c'è solo lui nel cinema spagnolo ma anche tanti "piccoli figli" che sono riusciti ad esprimere il proprio universo interiore in modo molto personale e ad ottenere allo stesso modo un buon successo all'estero, senza per questo reinterpretare Almodóvar, come appunto Amènabar e Bayona ma anche Isabel Coixet.

Come è stato recepito il film?
C ámara: È stato un grandissimo successo. Trattandosi di una commedia abbiamo deciso di partecipando al festival di Malaga, che è un festival di ambito più popolare rispetto a quello di San Sebastian, dove di solito vige il cinema d'autore orientale. Grandissima soddisfazione è stato ricevere alla fine proprio il premio del pubblico.
Velilla: Anche la distribuzione non è stata facile, poiché siamo usciti con la nostra piccola commedia a basso budget assieme a grandi kolossal delle major americane come L'incredibile Hulk. Eppure abbiamo avuto un enorme successo, soprattutto grazie alla buona recezione del pubblico e al passaparola che ci ha garantito incassi distribuiti su un periodo anche più prolungato di un normale film.
Nel film si parla in qualche modo anche di calcio. Come vivete il vostro rapporto con questo sport?
Velilla: Beh, il calcio si è in realtà introdotto per caso nel nostro film. Siamo partiti in fase di sceneggiatura con il personaggio di Maxi e con l'ambiente della cucina, che gli permette facilmente di poter confessare la propria omosessualità. Come contraltare dovevamo perciò trovare un personaggio che vivesse invece con difficoltà l'idea di fare outing ed abbiamo pensato di lavorare o su un torero oppure su un calciatore. Per dare al film una patina più universale abbiamo deciso di parlare di calcio, ma si tratta di un elemento assolutamente collaterale anche perché ammetto di non intendermene per niente.
Da un punto di vista culinario, il film è una forma di ribellione alla cucina sofisticata?
Velilla: In realtà non prendiamo posizioni forti. Ci piace l'idea di un mondo dove c'è posto per tutti. Sia per i ristoranti eleganti che per le osterie. La libertà di scegliere e di agire è la vera filosofia del film e la prospettiva di una Spagna ideale.

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