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La 'mission impossible' dei remake

Sissi è l'ultimo rifacimento, prodotto dalla Rai con la Capotondi nel ruolo che fu di Romy Schneider.
di Pino Farinotti

Cristiana Capotondi diventa Sissi
Romy Schneider (Rosemarie Magdelena Albach-Retty) 23 settembre 1938, Vienna (Austria) - 29 Maggio 1982, Parigi (Francia). Interpreta Sissi nel film di Ernst Marischka La principessa Sissi.

lunedì 20 aprile 2009 - Focus

Cristiana Capotondi diventa Sissi
Due puntate televisive per rifare Sissi, la trilogia che a metà degli anni Cinquanta incantò tutti. I tre film con Romy Schneider e con Karlheinz Böhm nel ruolo dell'imperatore Francesco Giuseppe, davvero possedevano tutte le qualità per accreditarsi come leggenda dello spettacolo. Un modello perfetto, un unicum. Amore, drammi, eccesso ma tollerabile di melò, sangue blu, castelli e cottage alpini, ricchezza e povertà. Divenne un sempreverde, faceva testo. Nei passaggi televisivi, stagione dopo stagione, non perdeva un telespettatore, anzi ne seduceva altri, generazione dopo generazione. La Rai è sicura del grande successo. L'audience sarà da record. Non c'è alcun dubbio.
Il remake televisivo è la via più semplice, una sorta di scarico di responsabilità. Non accetti la sfida col campione e col 'campione'. L'esempio che fa testo in questo senso è Via col vento. Non se la sentirono di affrontare quel gigante, il film dei film, e allora ne fecero un sequel televisivo senza alcuna nobiltà, con due attori, Timothy Dalton e Joanne Whalley-Kilmer, lontanissimi dall'appeal dei protagonisti originali. C'è poi il remake-tv fisiologico: un titolo superclassico da rivedere in ogni epoca. Vale I promessi sposi. Nelle varie edizioni gli autori ritengono di arrogarsi una rilettura rispetto al momento, al sociale, alla moda. Nel 2004 Francesca Archibugi firmò un'edizione dei Promessi Sposi, titolo Renzo e Lucia, in cui è Lucia a sedurre Don Rodrigo. Era parsa una buona idea usare quel "carattere" evolvendolo rispetto ai tempi, insomma una Lucia tutt'altro che dimessa, ma aggressiva. Una donna del 2000, non più del 1600. E... poco importava Alessandro Manzoni. Ci sono poi i remake fisiologici ma da sala.

Superclassici
Titoli come Amleto o Romeo e Giulietta, o I tre moschettieri, o Anna Karenina. Superclassici rivisitati e comunque sempre prevalenti. Con evoluzioni anche ardite, magari bizzarre, come il Romeo+Giulietta di Luhrmann dove Romeo-DiCaprio recita il testo di Shakespeare, ma nella Los Angeles del 1996. E comunque in questi casi non è il cinema a comandare, ma sono Shakespeare, Dumas e Tolstoj. Insomma, il remake, e il cinema... corrono pochi rischi. Poi ci sono i grandi classici rifatti. E lì il terreno è... avventuroso, a dir poco. Sono circa 200 i remake. Nell'era recente alcuni possono far testo. C'è la piccola saga di Colpo Grosso con Ocean's eleven e Ocean's 13. Rispetto all'originale del 1960, i remake sono patinati e scoppiettanti di effetti speciali. Tuttavia la sensazione è che gli eroi supersexy e superefficienti Clooney, Pitt e Damon non reggano il confronto con Sinatra, Martin e Lawford, che saranno stati meno organizzati e tecnologici ma erano... degli amici.

Hitchcock
Infine due giganti, un titolo e un autore. Psycho di Hitchcock. C'è chi ha tentato il confronto: armi convenzionali contro il nucleare. Per il suo Psycho, Gus Van Sant, ha ripercorso sequenza dopo sequenza, esattamente la strada di Hitchcock. Non ha voluto correre rischi. L'unica licenza se la prende Vince Vaughn nella parte di Norman Bates. Contrariamente a Anthony Perkins, che osserva dal buco nel muro l'ospite nuda rimanendo immobile, Vaughn si masturba, meglio lo fa intuire, perché l'inquadratura rimane in primissimo piano. Dando corpo e volto al principe degli psicopatici del cinema, Perkins aveva creato un altro precedente che faceva e fa testo. Inavvicinabile.
Da Hitchcock non si può prescindere. Recentemente abbiamo assistito a una miniserie televisiva della Rai, Rebecca, che ha imbarazzato un po' tutti. Con un segnale che un pochino inquieta, la seconda moglie era proprio la Capotondi che per charme e non-recitazione non rimbalzò, ma si sciolse al cospetto di Joan Fontaine. Il regista Andrew Davis, e gli attori Michael Douglas e Gwyneth Paltrow si sono confrontati rispettivamente con Hitchcock, Ray Milland e Grace Kelly nel remake del Delitto perfetto. Interpeti certamente adeguati i 'giovani'. Ma l'aggettivo non è sufficiente contrastare quella gente e quel precedente, certamente statico ma titolare di quel mistero non misurabile che sa trasmettere Hitchcock. La maggiore violenza e la dinamicità delle location, e la mano di Davis, le misuri e come. Ma rimangono lontane dal primo modello.

Fantasy
Un genere che sembrerebbe davvero privilegiato dal progresso è la fantasy. L'evoluzione degli effetti speciali è stata esponenziale, è la cifra che identifica il cinema contemporaneo in assoluto. Certi trucchi della vecchia fantascienza, ingenui, maldestri, scoperti, ci fanno davvero sorridere. Nel 2005 Spielberg ha rifatto La guerra dei mondi, dal libro di Wells che aveva ispirato l'edizione di Haskin del '52. Sappiamo che Spielberg dispone di superpoteri e di supermarchio, ma il suo film risulta un compito bene eseguito, un po' confuso, elefantiaco, e soprattutto senza mito. Un altro 'Wells', La macchina del tempo, ha avuto una versione (legittimo definirla) classica dal titolo L'uomo che visse nel futuro. È ingenua e pulita. La famosa macchina sembra un giocattolo déco, il mondo futuro presenta esseri antropomorfi ridicoli, ma il remake del 2002 è complicato, si avvita su se stesso, la macchina è un aggeggio ultrasofisticato, ma ti manca quell'estetica sorpassata, e non vedi l'ora che il film finisca.

Western
Il western è sacro. Il genere è fatto di codici semplici e ripetitivi, di ingenuità (ancora) e di richiami etici sfuocati, e lì la tradizione pesa più che da altre parti. Autori che hanno cercato di rifare il genere sono stati, quasi sempre, respinti. C'è un remake suggestivo, Quel treno per Yuma. L'impianto del nuovo è simile all'impianto della matrice degli anni cinquanta. Il cattivo viene trasferito dal buono e alla fine diventa un po' meno cattivo. Il linguaggio e il mercato hanno portato a un'evoluzione che si rileva soprattutto nella violenza. Il cattivo Crowe uccide un paio dei suoi carcerieri con una spietatezza incompatibile con chi, comunque, un pochino si redime. E poi nel remake ci sono troppe chiacchiere, tutto è spiegato, filosofie ed astrazioni che il western delle stagioni dell'oro davvero non contemplava. Gli eroi tacevano, oppure dicevano una frase per volta.
Interessante è la contaminazione in Le quattro piume, un altro titolo che presentò a suo tempo declinazioni perfette. I fratelli Korda ne avevano prodotto due versioni identiche ('39 e '55), cambiavano solo gli interpreti. Il film racconta della spedizione inglese nel Sudan per punire l'uccisione del generale Gordon, e... per riprendersi il Sudan. Era un fatto squisitamente britannico, per cultura, anche per cultura colonialista. Il regista Kapur, nel remake del 2002, inserisce un personaggio che non è dei film precedenti e non è del romanzo di Mason: un nero che parla come mediatore fra le due civiltà. Un'evoluzione 'politicamente corretta'. Forse perché Kapur è indiano e in qualche modo una memoria colonialista se la portava ancora dentro.

Lesa maestà
Concludo col peggior delitto di lesa maestà. Altra coppia di giganti: Wilder e Sabrina. Audrey Hepburn, non solo creava un precedente a sua volta inavvicinabile, ma costringeva la protagonista del remake di Pollack, Julia Ormond a sembrare ... la governante della principessa. Van Sant, ottimo regista e Pollack, grande regista, di fronte ai giganti... rimbalzavano. Il convenzionale contro il nucleare, appunto. Dura, la vita del remake. Ma forse non è un fatto di nomi o di titoli. O di opere perfette che non possono essere toccate. Sempre di cinema trattasi, non dell'Odissea o di Amleto. Forse vale il tempo e il sentimento. È impossibile ritoccare quel passato, è come intervenire sui ricordi, o farli rivivere. La memoria si difende, e non solo quella dei cinefili, che sarebbe il meno, ma quella di tutti. Toccare l'ingenuità di quel vecchio cinema: forse il peccato è proprio questo, non veniale.

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