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Complici del silenzio: cronaca di una dittatura

Arriva in sala il nuovo film di Stefano Incerti, cronaca di un amore sotto la dittatura militare di Jorge Videla.
di Marzia Gandolfi

L’amore al tempo di Videla
Alessio Boni (57 anni) 4 luglio 1966, Bergamo (Italia) - Cancro. Interpreta Maurizio Gallo nel film di Stefano Incerti Complici del silenzio.

martedì 7 aprile 2009 - Incontri

L’amore al tempo di Videla
Buenos Aires, 1978. Maurizio Gallo è un giornalista sportivo inviato in Argentina in occasione del Mondiale di calcio. Partito dall’Italia col cuore infranto, incontrerà Ana, ex moglie di un amico e membro clandestino di una formazione guerrigliera, che si oppone al regime militare di Videla. Invaghitosi della donna, e per questo sospettato di propaganda rivoluzionaria, finirà per condividerne il destino, patendo detenzione e tortura. Cosa rende diverso Complici del silenzio da tutte le altre opere che negli anni recenti hanno descritto i soprusi e le torture della dittatura argentina? Forse niente. Abbiamo già sofferto con i film di Bechis (Garage Olimpo e Figli) o con le sconvolgenti immagini della Notte delle matite spezzate. Sembra però che il cinema argentino e quello italiano abbiano ancora bisogno di fare i conti con il proprio passato drammatico e criminale. Attraverso una storia d’amore e una suspense intensa e persecutoria, Stefano Incerti, torna sulle violenze impietose degli aguzzini e sull’invasività ottusa del potere, per denunciare una volta di più una delle pagine più nere del nostro vissuto. A Roma per presentare il loro film, Stefano Incerti e Alessio Boni ci raccontano un’altra esperienza di prevaricazione e libertà negata.

Pudori
Stefano Incerti: So che su questo argomento sono stati girati moltissimi film, in e fuori dall'Argentina. Ero consapevole di questo fatto quando decisi di dirigere Complici del silenzio. Ebbi lo stesso pudore lavorando al mio film precedente, L'uomo di vetro, perché anche la mafia era argomento largamente sfruttato e trattato dal cinema. Avevo comunque le mie ragioni per tentare questa avventura, intanto trovavo molto interessante il cortocircuito tra mondiali di calcio e regime militare, inoltre avevo due buoni motivi per crederci: il primo è che non bisogna mai dimenticare questi eventi, penso soprattutto al pubblico più giovane ma anche a quella parte degli argentini che ancora non hanno fatto i conti con il loro passato; la seconda ragione è che vorrei che il mio film, come i tanti che lo hanno preceduto, fosse un monito per il futuro. L'Argentina degli anni Settanta era un paese europeo precipitato all'improvviso all'inferno. La loro esperienza è la prova che quanto è capitato può ripetersi in qualsiasi altro paese civile.

Bechis e gli altri
Stefano Incerti: Girando Complici del silenzio sapevo di dovermi confrontare con molti altri film argentini ambientati durante il regime militare di Videla, per questo ho cercato di allontanarmene, trovando una chiave più popolare. Volevo innanzitutto emozionare lo spettatore, volevo costruire un ritmo e una tensione da thriller. Il pubblico in sala è sempre più distratto, un film come La dolce vita oggi passerebbe probabilmente inosservato, per questa ragione, pur non facendo film addomesticati, ho cercato un modo per arrivare al cuore e alla testa della gente. Ho provato grandi soddisfazioni girando questo film, la sequenza più emotivamente impegnativa è stata quella del funerale in chiesa. Ho immaginato che al posto della polizia di Videla ci fossero i nazisti e al posto degli argentini rastrellati, gli italiani. Un attore argentino mi fece notare che un regista del luogo non avrebbe avuto il distacco necessario per girare la sequenza del rastrellamento. Alla fine delle riprese eravamo tutti profondamente commossi. Per me fare cinema è una forma di lotta.

Resistenze
Stefano Incerti: Non abbiamo avuto nessuna difficoltà politica a girare il film, l'unico impedimento sono stati i tre mesi e mezzo di attesa per ottenere il permesso di girare all'aeroporto militare. Nonostante la mia sia un'opera di ostinata e drammatica resistenza contro un regime che violò per anni i diritti umani di uomini e donne, ho scelto per questa storia un epilogo pieno di speranza, che dedico alla parte buona dell'Argentina. Ho voluto semplicemente raccontare una storia, non volevo svelare nessun nuovo intrigo, io non sono Oliver Stone.

Abbandoni
Alessio Boni: Mi sono avvicinato al mio personaggio gradualmente, all'inizio doveva essere un frivolo giornalista sportivo dedito al calcio, alle donne e al vino, un uomo che non voleva sapere troppo di quello che stava davvero accadendo in Argentina. Poi l'incontro con Ana invertirà il corso del suo destino. Come Maurizio mi sono lasciato trascinare dentro il dramma di questo paese martoriato dalla dittatura e dai suoi aguzzini. Mi sono abbandonato a Stefano e agli altri attori argentini, ho visitato i luoghi della mattanza e girando le scene di tortura mi sono impregnato di tutto il dolore, la muffa, l'umidità e la memoria storica di questa terra. Solo allora ho capito il mio personaggio a fondo, solo allora mi sono arreso al mio personaggio.

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