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Storia 'poconormale' del cinema: Il grande cinema del Nord – III parte

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema secondo Farinotti.
di Pino Farinotti

Quinta puntata: il grande cinema del Nord – III parte

venerdì 27 marzo 2009 - Focus

Quinta puntata: il grande cinema del Nord – III parte
Ci sono film che, singolarmente, rappresentano un movimento. Può valere per Ladri di biciclette come manifesto del realismo italiano, oppure per Il porto delle nebbie per il cinema del Fronte popolare francese, oppure per La vita è meravigliosa come icona del cinema del New deal, o per Il cielo sopra Berlino come modello del grande cinema tedesco degli anni 70/80 o per Billy Elliot come esempio della magnifica stagione inglese legata alla Thacher. Dies irae è un titolo perfetto a rappresentare l'estetica e la poetica del cinema del nord. Senza nulla togliere (soprattutto) a Bergman, naturalmente, del quale mi occuperò. Solo che Bergman... è venuto dopo, quando Dreyer aveva già aperto quasi tutte le strade. Dopo aver raccontato tutti i contesti di Dies irae - l'ispirazione figurativa, la storia, Lutero, l'espressionismo, e naturalmente il linguaggio – ecco lo stralcio delle sequenze portanti, dei codici e della poetica che formano la spina dorsale del film.
Ed è importante, come chiusura, una rilettura critica e articolata del capolavoro, secondo culture diverse.

Scene fondamentali
Preludio d'amore
È la sequenza dell'incontro fra Anne e Martin. I due non si conoscono. Martin: "Scusate, c'è il padrone di casa?" Anne: "È andato incontro a suo figlio". Martin "Suo figlio sono io". C'è forte intensità, di dolcezza e di tensione. Dreyer annuncia subito ciò che succederà. L'amore fra i due catalizzerà tutte le tragedie future. È un amore colpevole. Nel gioco severo, impietoso degli equilibri secondo la cultura luterana, quell'amore dovrà essere pagato caro. Anne: "Io ho già visto il vostro volto, l'ho visto nei miei pensieri e ho molto, molto pensato a voi." Martin: "Vi prometto di essere un buon figlio... mia giovane madre." Anne :"... mio caro figlio"

Dramma in interni
Anne apre una porta e avanza verso una stanza. La sequenza ha due valenze, la prima estetica, Anne si muove in una scenografia sontuosa, molto importante, incombente. Lei è piccola e indifesa, immersa in tanto apparato, e sarà impotente. La macchina da presa l'accompagna, rimanda con efficacia il suo sentimento di paura e tutto è fortemente inciso, molto chiaro e molto scuro. La strega Marta sta per affrontare il giudizio di Absalon. Anne, nascosta, vede tutto. L'altra valenza è il pregiudizio, il tema della caccia alle streghe. Ma c'è qualcosa di più grave, il pastore Absalon, apparentemente così rigoroso, così mistico, è pronto a mentire in virtù della sua posizione inattaccabile. Tutti crederanno a lui. Absalon "Solo Iddio può salvarti". Marta: "No, tu puoi salvarmi, volendo. Devi fare per me ciò che facesti per la madre di Anne. Tu la salvasti. Sapevi che era una strega, ma tacesti." Absalon "Tu menti". Marta: "Fammi grazia" Il pastore fa inginocchiare la strega: "Non pregare per la tua vita, prega per la tua anima." La vecchia ribatte disperata "Io ho tanta paura di morire, tanta paura". Marta non accetta le delega della felicità a un'altra vita. Absalon non la convince, e neppure la chiesa. È un essere umano. Conosce solo questa vita.

Inquisizione
Marta è nuda davanti ai giudici.
"Racconta come il demonio ti possedette."
La scena è una prova di inquisizione, uno dei nodi decisivi della vicenda. La vecchia strega nuda, la tortura, la confessione suggerita ed estorta, dunque l'orrendo pregiudizio, anche questa è una rappresentazione, una premessa della tragedia finale. Sono molti i peccati da purificare, sempre che venga permesso. Nella sequenza è decisivo il linguaggio filmico, si assiste a un magistrale piano sequenza che percorre i componenti della macabra giuria ed è qui che soprattutto vivono i fiamminghi, nelle luci, nei costumi e nelle luci. È proprio Rembrandt.

Natura complice
I prati e il bosco, Martin e Anne camminano. Procede il preludio alla tragedia d'amore. Martin e la matrigna Anna: è in questo "esterno" che si consuma l'amore infedele, e si consuma la trasgressione. La fotografia non è contrastata, è uniforme, soffice, la dolcezza della musica serve alla maggior tensione, a rilevare il pericolo che incombe. I due colgono fiori, li passano nelle mani dell'altro, Anne dà dell'erba a un cavallo, Martin le tiene la mano. Quello che dovrebbe essere il momento di grazia si scontra con la realtà del carretto che passa laggiù, che porta le fascine. "È già tempo di fascine?" Domanda Anne. "No, servono per il rogo di Marta". Risponde Martin.

Il rogo
La strega Marta, legata a una scala sta per essere messa al rogo. Col terrore negli occhi urla al suo giudice "Salvami dal rogo Absalon, altrimenti io." Ma lui la interrompe. "Dio è misericordioso, i tuoi occhi vedranno e tu non sarai dannata...Marta: "denuncerò Anne, hai capito. La denuncerò, bugiardo!". Ma Marta viene issata in mezzo alle fiamme. Il rogo è irresistibile per Dreyer, basta ricordare quello della Passione di Giovanna d'Arco, è la rappresentazione, oltre che la metafora, del massimo dolore e della purificazione. Sta ancora urlando "bugiardo...assassino!" quando la scala su cui è legata viene spinta fra le fiamme. Anna e Martin hanno assistito.

Causa innaturale
Absalon e Anne. C'è la morte nello sguardo di lei. Dice "non devi pensare alla morte". Lui risponde "hai ragione, ma non posso farne a meno." È un altro dei grandi nodi del film. Come muore Absalon, per cause naturali o innaturali? Lo uccide il cuore o lo uccide Anne, che dunque avrebbe i poteri di una strega? Absalon: "tu desideri che io muoia... sono stato ingiusto con te, non ti ho mai chiesto se mi amavi". Anne risponde: "È vero Absalon, prendesti la mia giovinezza e la mia gioia. Avevo sognato un amore, avevo sognato un figlio che avrei potuto avere. Ma neanche questo hai saputo darmi. E adesso mi chiedi se ho mai desiderato la tua morte... sì l'ho desiderata centinaia di volte, ma non l'ho mai desiderata tanto come ora da quando Martin e io...". Absalon, gli occhi sbarrati: "Martin e tu?..." Anne: "sì, io e Martin. Ora lo sai. Ed è per questo che voglio la tua morte." Absalon si alza in piedi, urla "Martin, Martin!" Poi cade, morto.

Espiazione
Anne è davanti al marito morto. Lo guarda, sul volto le si forma una strana ombra di sorriso. Dice: "Hai la tua vendetta ora". La madre di Absalon l'ha accusata, Martin non l'ha difesa. E' la grande confessione, la grande espiazione finale. Anne non può fare altro. Quella cultura, quel pregiudizio, le hanno precluso tutte le strade. Dice "ho fatto del male, del male, del male, ora lo sai...lo sai. Ti vedo attraverso le lacrime. Ma ora nessuno le asciuga."

Critica
André Bazin
Anche se per molti aspetti appartiene alla tradizione del cinema muto, Dies Irae si è tuttavia concesso il lusso di utilizzare il suono con una raffinatezza altissima. Il timbro e l'intensità dei dialoghi, quasi sempre sussurrati, conferiscono alle minime sfumature il loro pieno valore e le poche grida, che interrompono questa morbidezza sonora, ci riempiono di terrore. La qualità della interpretazione sarà così più accessibile al pubblico. Il prodigioso volto di Lisbeth Movin, è decisamente uno dei più interessanti dello schermo mondiale. Il personaggio della vecchia, condannata al rogo, possiede al tempo stesso il commovente realismo della vecchiezza e un non so che di sovrannaturale, che sembra emanare dalla sua stessa vecchiezza. Il pastore e sua madre sono perfetti, di fronte a loro il figlio sembra incerto e sbiadito ma il suo personaggio implicava forse questa malleabilità.

Fernaldo Di Giammatteo
Non si tratta più, come in Vampyr, del disordine inesprimibile provocato dal terrore di un inconscio che non si vuole conoscere, si tratta di un disordine che si può vedere (e descrivere con i movimenti ondulatori della macchina da presa) e che ha due facce: l'erotismo (immerso nella sua sfumata luminescenza della natura) e la sua repressione (espressa nella rigidità dei chiaroscuri degli ambienti chiusi). Due facce che si sovrappongono sul volto della donna: non più brutalmente scavato (e odiato-esorcizzato) come quello di Giovanna, ma accarezzato con pietà, come nella sconvolgente inquadratura conclusiva di Anne, condannata (dal mistico e orrendo canto delle voci bianche) e libera.

Georges Sadoul
Ambiguo è il finale in cui la protagonista afferma di essere una strega, dopo essere stata abbandonata dall'amante. Ma è come se Dreyer credesse alla stregoneria, come all'esistenza dei vampiri o alla resurrezione dei morti. Il film è interessante per la sua bellezza plastica. Il volto tormentato di Lisbeth Movin, l'atmosfera storica, e in qualche scena, il senso della natura. Secondo Boerghe Trolle, in questo film, come in tutta la sua opera "Dreyer non dubita mai, neanche per un solo istante, dell'inevitabilità della sofferenza come mezzo per raggiungere purezza e chiarificazione." È una delle opere più caratteristiche e alte dell'autore, secondo molti anzi, il suo capolavoro, poi insuperato.

Morando Morandini
Di altissima tenuta stilistica nella sua maestosità (Dreyer: "non il montaggio è lento, ma il movimento dell'azione. La tensione si crea nella calma") di grande ricchezza psicologica e sapiente rievocazione storica, è una vetta dell'itinerario di Dreyer e nella storia del cinema. Per il regista danese –al di là delle interpretazioni che se ne possono dare- la più terrificante sequenza musicale della liturgia cristiana, diventa un inno alla vita e alla libertà contro il fanatismo, l'intolleranza, la cecità spirituale degli uomini.

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