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Fratelli di sangue e di rabbia

Premio Flaiano per la Miglior Opera Prima.
di Marianna Cappi

Ottimo esordio
Paola Columba . Regista del film Legami di sangue.

martedì 24 marzo 2009 - Incontri

Ottimo esordio
Lo storico Filmstudio romano per primo ospiterà, a partire dal 27 marzo, insieme ad almeno altre sette sale sparse per lo stivale, il lungometraggio d'esordio di Paola Columba Legami di sangue. Il film è cosceneggiato e prodotto dal regista Fabio Segatori, che di lungometraggi alle spalle ne ha due, Terra Bruciata, con Bova, Giannini e Placido, e Hollywood Flies, girato negli USA e distribuito in 36 paesi, Italia esclusa. Ma Segatori e i suoi amici non si arrendono e continuano a provare a fare il loro cinema nel loro paese, con questa storia sulla forza corruttrice del denaro in seno ad una famiglia di quattro fratelli nell'entroterra molisano. Passioni forti, qualcosa da dire e un gruppo di attori capaci di dirlo.

Come nasce la storia?
Columba: In parte è una storia che mi è stata ispirata da fatti di cronaca e in parte mi è stata suggerita dagli attori, dalle loro storie personali. Vicende come queste avvengono continuamente nella realtà: attorno ai soldi, quando di mezzo c'è l'amore, si scatenano sentimenti forti. Io, col mio finale, ho voluto andare fino in fondo, non edulcorare nulla.
Segatori: Del mondo contadino non si parla più nel nostro cinema, ma a due ore e mezzo da Roma, dove è stato girato questo film, c'è gente che vive ancora senza bagno, e non sono extracomunitari. È un piccolo film indipendente, d'altronde la scena del bagno e quella del bacio al prete non avrebbero mai passato la censura. Noi non abbiamo ricostruito nulla, siamo andati a girare dove si vive davvero in questo modo. Volevamo fare il punto sul paese reale. Realtà e non reality.

Quale idea di cinema vi guida?
Segatori: Io e Paola ci siamo trovati d'accordo rispetto ad un'esigenza di spettacolarità. Anche all'interno del realismo più spinto è importante non annoiare. Abbiamo scritto il film sugli attori, ma, nonostante veniamo tutti dal teatro - Paola ha alle spalle vent'anni di carriera teatrale-, non volevamo fare un film teatrale ma volevamo fare del vero cinema. Anche in America, le nuove frontiere della scrittura puntano molto più sul personaggio che sul plot e noi abbiamo lavorato soprattutto sui personaggi.

Giovanni Capalbo, il protagonista, recentemente ha lavorato in grandi produzioni con Mel Gibson, Greenaway e Abel Ferrara. Come hai vissuto il ritorno ad un budget ridotto?
Capalbo: Venendo da una realtà lucana e da una famiglia contadina di nove figli non ho alcun problema ad adattarmi alle difficoltà di un set più povero o alle comodità di un albergo di lusso. Su The Passion naturalmente ho avuto dei privilegi, una roulotte personale, per esempio, ma sono cose ininfluenti. Conosco Fabio dal 1982, ci siamo conosciuti alla scuola Fersen e siamo rimasti amici anche quando ognuno ha preso la sua strada. Su questo set ho lavorato in tranquillità e umiltà, devo dire che il lavoro sulla scrittura è stato rigoroso e il mio ruolo era relativamente semplice, vicino ad una realtà che conosco.

Quanto è costato il film?
Segatori: 350.000 euro. Sul set dei miei precedenti film ho fatto esperienza di produzione in condizioni molto più complesse, con riprese aeree, tante cineprese, scene subacquee e quant'altro. Questo film è stato reso possibile anche dall'incontro con una società molisana di documentaristi, fatta di ragazzi che sono diventati la nostra troupe.

Il problema è la distribuzione?
Segatori: Non solo. Il problema è la politica. Tutto in questo paese finisce nell'imbuto delle commissioni ministeriali, molto sensibili alle telefonate dei partiti. Questo è un film fatto senza raccomandati, con soldi nostri, fatto perché lo volevamo fare.

La parola agli interpreti
Cristina Cellini (Luana): Il lavoro preparatorio con noi attori è stato lungo e accurato e ci ha permesso poi di girare in soli 24 giorni. Ci conosciamo da tanti anni, siamo un gruppo molto unito.
Andrea Dugoni (Andrea): Confermo la dedizione totale che c'è stata nei confronti di questo lavoro, quasi come se fosse un atto sacrificale, almeno per quel che mi riguarda. Ho amato molto il mio personaggio e continua a commuovermi.
Cristina Mantis (Rosy): Sul set il clima era felice e spensierato e non sarebbe stato facile entrare nel mio personaggio di donna finita se la realtà delle location e del paese di Casacalenda, che ci ha accolto come se fossimo degli abitanti, non avesse reso possibile una sorta di trance.
Fulvio Cauteruccio (il notaio): Normalmente faccio teatro, ho una mia compagnia, ho fatto delle cose in tv ma su questo film ho trovato un metodo di lavoro scrupoloso con gli attori, che in televisione non esiste e dà molte possibilità in più di espressione.

Il film ha trovato distribuzione negli Stati Uniti?
Segatori: Sì, il film è stato in concorso al festival di Philadelphia ed è stato proiettato al Chinese Theatre di Los Angeles, dove la gente si è commossa, e allora un distributore che era presente ha deciso di farlo uscire subito in altre tre città. Poi abbiamo fermato noi la distribuzione americana in attesa di quella italiana, ma abbiamo già il contratto sia per le sale che per l'home video, con la Weinstein Company. Io sono convinto che esista un pubblico per questo tipo di film anche qui da noi, ma bisognerebbe creare un mercato per questi prodotti.

Un messaggio di Arnoldo Foà, che nel film interpreta il padre dei quattro fratelli in un cameo, chiude la conferenza stampa: "Per un imprevisto non posso essere con voi. Sono contento di aver dato il mio piccolo contributo a quest'opera. Parlatene, perché i film buoni devono essere visti."

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