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Pane e libertà, intervista al cast

L'epopea di Giuseppe Di Vittorio.
di Alessandra Giannelli

Una fiction per Giuseppe Di Vittorio
Pierfrancesco Favino (54 anni) 24 agosto 1969, Roma (Italia) - Vergine. Interpreta Di Vittorio nel film di Alberto Negrin Pane e libertà.

mercoledì 11 marzo 2009 - Televisione

Una fiction per Giuseppe Di Vittorio
Grande attesa per la messa in onda della fiction che narra le "gesta" di Giuseppe Di Vittorio, fervente sindacalista, amico di Gramsci e di Togliatti che, fino alla fine, combatté per i suoi ideali. A dargli corpo e voce è lo straordinario Pierfrancesco Favino, attore ormai affermato che ha reso questo personaggio al meglio, sotto la guida registica di Alberto Negrin.
Una co-produzione Rai Fiction-Palomar-Endemol, prodotta da Carlo Degli Esposti. Presenti, oltre al cast (Raffaella Rea, che interpreta Carolina, la moglie di Di Vittorio; Danilo Nigrelli, Massimo Wertmuller, Giuseppe Zeno, Frank Crudele, Francesco Salvi, etc...), Nichi Vendola, presidente della regione che, a Di Vittorio, diede i natali: la Puglia (che è anche co-produttrice), ma anche il Presidente della "Fondazione Di Vittorio", Carlo Ghezzi (in rappresentanza, in questa sede, anche della CGIL).
In onda su Rai Uno domenica 15 e lunedì 16 marzo, quella di Di Vittorio è la storia di un uomo, così introduce Tinni Andreatta (responsabile Rai Fiction), che ha combattuto per i massimi principi della nostra costituzione e della nostra vita democratica e l'ha fatto sin dall'inizio del secolo, per i diritti dei braccianti, ma poi, durante il fascismo e nell'Italia democratica, per i diritti di tutti i lavoratori. E' la storia di un uomo che aveva una forza "rocciosa", un combattente che si è sempre esposto ed ha rischiato in prima persona, un condottiero che sapeva parlare alla gente e che difendeva i diritti di tutti e, per questo, aveva un'idea della politica estremamente alta e nobile, assoluta, certe volte anticonformista, trovandosi "stretto" anche all'interno del suo stesso partito. La storia di questo film è il racconto del suo coraggio, dei suoi ideali, della sua forza morale. Nella prima parte del film, è raccontato lo "scontro" epico tra Di Vittorio e il latifondista di Cerignola per i lavoratori che combattono per i diritti più elementari: il pane e la libertà. Di Vittorio, che era un autodidatta, aveva capito che il padrone proprio nelle parole aveva la sua forza sul lavoratore spesso analfabeta. Segue, quindi, l'avvento del fascismo con gli scontri che ne derivarono, fino a giungere alla fase democratica, in cui Di Vittorio manifesta quello che è il suo massimo pensiero: l'unità dei lavoratori.
Un racconto epico ma pieno di pudore
La sceneggiatura (di Pietro Calderoni, Gualtiero Rosella e Alberto Negrin) ha una grande forza epica nel narrare la grande "lotta" per i diritti, alternata a un racconto pieno di un pudore che riguarda l'animo timido e poetico di Di Vittorio nel privato, nei rapporti con la sua famiglia, la moglie, i figli e poi Anita, la donna che lo accompagnerà fino alla morte. In questo è forte la presenza del regista, che ha saputo dare grande traduzione, in gesti ed immagini, di quella che è la forza delle idee. Sono, appunto, memorabili le scene dei grandi scontri nei campi, per difendere la camera del lavoro contro lo stato fascista, ma anche i duelli diretti tra il barone Rubino e Di Vittorio.
Una scena particolarmente emblematica è il suo arrivo a Cerignola (dove i lavoratori, come santino, avevano la foto di Di Vittorio!) in qualità di deputato. Un altro elemento, molto poetico del film, è quello di avere delle immagini forti con un'attenzione particolare al movimento delle mani, spesso indurite dal lavoro, che lottano, che si stringono, che lavorano, ma che offrono anche il perdono. Il grande interprete è Francesco Favino, che ha dato voce, forza e grande fisicità a questo personaggio. Questo racconto ha un'estrema precisione nel riferire alcuni eventi, così come per una grande figura del passato, ma ha anche un valore cinematografico di grande spessore, considerato che la sua lotta, in un momento di crisi e di troppi incidenti e morti bianche, è ancora attuale. La scelta di questa storia, come ha spiegato Carlo Degli Esposti, nasce dalla convinzione di raccontare la vicenda di un uomo che, nella storia degli ultimi decenni, non è stato a sufficienza tenuto in prima fila. Un uomo che dà la sensazione della radicalità dei ragionamenti con un primario rapporto con l'unità di classe. C'è stato, intorno a questa storia, un'attenzione da parte di ogni fazione politica poiché, come lo stesso Di Vittorio diceva, non ci sono distinzioni tra destra e sinistra. Di Vittorio è il personaggio di chi crede nell'unità più ampia possibile. L'intento è stato quello di rendere moderna questa storia.
Presidente Vendola, perché la Regione Puglia è intervenuta in questo film?
Presidente Vendola: Cerchiamo, nel repertorio della nostra storia, elementi che possano costruire la nostra genialità. Abbiamo scelto, in questi due anni, la Puglia come "crocevia" di popoli e di lingue, contro l'idea dello scontro di civiltà, e l'altro elemento è la terra del lavoro, la terra che ha inventato la dignità del lavoro. Questo pezzo della tradizione aveva uno straordinario interprete, che era Peppino Di Vittorio, oggetto di una religiosità laica e popolare che io ho vissuto da bambino, da adolescente. Chi è pugliese è cresciuto con il racconto dei "racconti" di Di Vittorio: un bambino autodidatta, ma combattente per i diritti; una storia che tutti i papà raccontavano, che tutte le famiglie povere tramandavano, parlando di come, da una terra così aspra e violenta come la Puglia, si potesse costruire una parabola bella, come quella di non togliersi la coppola davanti al padrone. Il mondo di cui parlava Di Vittorio, ovvero il "bracciantato", non c'è più, ma ci sono nuovi lavoratori poveri e hanno la pelle scura ed è difficile rivendicare, per loro, diritti eguali. Oggi dobbiamo chiederci che cosa significa "non togliersi la coppola davanti al padrone", è un gesto di autonomia, non di odio sociale, perché la nostra povera gente era abituata anche alla soggezione arcaica nei confronti del padrone e significa che si è padroni e si è servi per la costruzione di rapporti sociali specifici.
Nell'epopea di Di Vittorio si trova la cifra di una nuova modernità, che è quella che nasce dalla dignità del lavoro. Oggi, la domanda di libertà, più di ieri, ci brucia dentro.
Alberto Negrin, raccontando questa serie (nelle note di regia), tu hai parlato di un film "western", puoi spiegarci perché?
Alberto Negrin: Non ho mai pensato di fare un film politico, ideologico, a me interessano le persone, i loro caratteri, le loro anime. Di Peppino, io lo chiamo così, mi piace la sua anima ed entrare, con la macchina da presa, nella sua anima, significa raccontare una grande avventura. E' un western perché gli scontri, le difficoltà che lui affronta sono assolute, mortali, dove il nemico che ha di fronte è il nemico per la vita o per la morte. Erano due mondi contrapposti, antitetici e questi valori sono quelli tipici western. La morte, la perdita di tutto, sono sempre presenti, c'è chi vince e c'è chi perde. E poi si mette in gioco sempre tutto, come faceva lui del resto. Questo è il mio punto di vista. E' stata un'orchestra meravigliosa, ogni orchestrale è stato indispensabile per questo risultato, dal piccolo attore fino a Favino ("Picchio" da queste parti!), tutti hanno dato il meglio, ma il vestito definitivo l'ha dato il massimo nella musica del cinema: Ennio Morricone, che ha la capacità rarissima di interpretare le varie sequenze del film, anche se le vede una sola volta, anche in altre lingue. Nonostante questo, ha colto il valore del film. Lui entra dentro i personaggi nei loro sentimenti e li trasforma in musica. Per me, Ennio, dovrebbe essere protetto dal WWF! In tutta questa costruzione anche la CGIL ci ha aiutato.

Alla conferenza, tra gli altri, anche Baldina Di Vittorio, la figlia del sindacalista che, con estrema mitezza, dopo aver ringraziato tutti gli artefici di questa serie, ha voluto ribadire la "fatica" di suo padre nell'alzare la testa, ma, soprattutto, nel vivere, quando ha capito che l'istruzione era necessaria per elevarsi, per poter contare di più e avere la dignità di persona umana. Lui ha fatto le cose più diverse e ad essere fondamentale è proprio la sua origine, la Puglia, tutto quello che, soprattutto i primi anni, hanno significato per lui. La costante, nella sua vita, è stata quella di migliorarsi sempre e, quindi, il valore della cultura soprattutto. Da questa consapevolezza nasce la comprensione, che lui ebbe subito, che per vincere bisognava "organizzarsi" e, quindi, formare qualcosa che conta sul territorio. Un'intuizione fondamentale per uscire dall'anarchia. Ma c'è anche il principio dell'unità, che ha permesso lo sviluppo del movimento dei lavoratori, prima in Puglia e poi altrove. Una volta, è Baldina stessa a rievocare il fatto, Di Vittorio raccontò, in quel di Parigi, a Francesco Saverio Nitti, che ai "suoi" braccianti, obbligati a togliersi il cappello, venne in mente di vestirsi come i signori, mettendosi una cravatta, una giacca, un cappotto e di sfilare davanti ai padroni per il paese; a Nitti piacque molto e osservò che si trattava di una "rivoluzione di costume", che poi significa tante cose. Di Vittorio era popolare: conosciuto da tutti, sia lavoratori sia intellettuali, perché lui non solo non aveva dimenticato le origini, ma trattava i problemi come se fossero naturali.
Maestro Morricone, come ha messo insieme l'elemento epico, quello popolare, politico, ma anche quello della campagna, etc...per farne poi la colonna sonora?
Quando io ho visto per la prima volta il film ero molto commosso e ciò mi capita raramente. Quando mi capita, però, in genere non voglio fare la musica perché ho paura di 'fare del male' al film, ma non l'ho detto. Ero portato a dirgli, a Negrin, di non mettere la musica, di metterci i canti dell'epoca, ma poi mi sono messo a lavorare al meglio. Perché ero così commosso! Io, da ragazzo, non seguivo molto la politica e sentivo parlare male di Di Vittorio; invece, ho capito, dal film, che era un'idealista, che ha voluto veramente il bene della gente e non lavorava per fini personali. Le musiche le ho preparate secondo tre filoni: quello epico-popolare, quello d'amore (però appena sillabato che si forma a poco a poco); l'altro è quello nato per simbolizzare la protesta dei lavoratori, facendo un pezzo che avesse un rumore tale che Morricone simula, battendo il pugno sul tavolo di legno. A me, comunque, tra tutti piace il tema epico-popolare, questo posso dirlo. Forse potevo fare di meglio, ma io ce l'ho messa tutta!".
Pier Francesco Favino, ci racconti il suo Di Vittorio?
Pier Francesco Favino: Quello che è stato detto riguarda anche me perché i miei genitori sono pugliesi e la cultura meridionale va promossa. Ho scoperto la vita di quest'uomo e ho ritrovato tanti simboli, che sono rimasti nella tradizione di un popolo, come il gesto del cappello. Sono entusiasta di aver fatto questo film e ringrazio Negrin per questo. Credo sia esemplare raccontare l'onestà di una persona. Sarebbe facile dire che è un film nostalgico, che prima "erano meglio". Ecco, è l'esatto contrario.
Questo film poi rappresenta i giovani e il mondo del lavoro oggi: la possibilità di credere in un sogno con l'impegno di ciascuno, secondo me, garantisce una società migliore!.

Sig.ra Baldina, che cosa ha trovato di suo padre nell'interpretazione di Favino?
Sig.ra Baldina: Favino ha interpretato nel modo migliore questa parte, che era difficile. Sappiamo che molti, in passato, avevano in mente di fare un film su mio padre e poi la cosa è caduta. Io ero terrorizzata perché pensavo che la vita di mio padre, così piena ed 'epica', potesse essere resa in modo eccessivo. L'interpretazione di Favino è stata straordinaria, persino nei gesti, nel modo di muoversi, nel camminare, ha reso bene l'intensità del personaggio perché era così. Siamo ammirati e contenti, ma anche grati, di questo risultato. E' stata realizzata una cosa forte e commovente e colpirà, soprattutto, le nuove generazioni che non conoscono Di Vittorio e il movimento operaio. Il film continuerà perché, dai segnali che abbiamo, molti giovani ci chiedono di parlarne.
Qual è la scena, Favino, che più ti ha toccato?
Per me non c'è una sola scena, mi sono trovato a commuovermi (e non solo lacrime, ma soprattutto la pelle che si accappona) quando si vede la forza del lavoro, ma anche quando si vede lottare per i diritti.
I ventenni di oggi riuscirebbero a commuoversi?
Alberto Negrin: Qui si parla di un ragazzino che lavora, che si istruisce da solo e che riesce a guadagnare quei pochi centesimi che gli permettono di comprare il libro: un dizionario, di cui lui imparerà tutte le parole. Un ragazzino che diventerà poi il rappresentante, a Washington, del sindacato mondiale, rappresentando i lavoratori di tutto il mondo. Questo è l'esempio di come un precario può diventare anche lui Presidente degli Stati Uniti, basta volerlo. Lottare in quello che si crede è il messaggio che passa. Ci si deve chiedere sempre se abbiamo fatto fino in fondo il nostro dovere".

Il film, quindi, è contro la politica di oggi, visti i richiami?
Favino: E' chiaro che se si ha a che fare con la politica, nel momento in cui si parla di un uomo politico e si usano terminologie politiche. E' vero che il mondo del lavoro è cambiato, ma non dipende, strettamente, dal mondo del sindacato se una situazione lavorativa è destinata al precariato, ma sono cambiate obiettivamente le condizioni della nostra società.

C'è, quindi, nel film, l'epica della politica bella?
Favino: Ma no, questo uomo ha avuto un sogno! Qui c'è l'epica dell'onestà e da questo dovremmo prendere esempio tutti! In questo non c'è un'operazione nostalgica; io, se vedo un film di Volonté, cerco di capire perché era così bravo, che cosa posso fare io per somigliarci e poi, eventualmente, scoprire che non sono in grado. Per cui, quando uno dice 'io credo in questo' e lotta tutta la vita perché ciò che desidera venga attuato, allora, se questa è politica, si, stiamo parlando della politica!.

Il film, prima della messa in onda, sarà presentato a Montecitorio affinché tutti i politici non dimentichino questa importante figura, a sua volta politica, ma soprattutto umana.

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