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Cinema Universale d'Essai: Storia di un piccolo grande cinema

Parte da Roma il tour che porta in giro per l'Italia la mitologia di una popolare sala fiorentina.
di Edoardo Becattini

Un cinema interattivo "ante litteram"

venerdì 6 marzo 2009 - Incontri

Un cinema interattivo "ante litteram"
Quando chiude una sala cinematografica è come se la città perdesse un occhio sul suo volto". La suggestiva immagine di Giuseppe Tornatore non ci dice qualcosa solo sul nostro presente e su un processo apparentemente irreversibile quale la morìa di tutte quelle sale cinematografiche situate nei centri storici della varie città, ma ci racconta soprattutto di un passato non troppo distante nel tempo, in cui il cinema rappresentava davvero uno dei "sensi" più vitali di una città. Su questo tipo di riflessioni, fra la compianto nostalgico, l'orgoglio anacronistico ed un più rigoroso obiettivo storico, nasce il progetto del piccolo film documentario Cinema Universale d'Essai. Il Cinema Universale era una grande sala fiorentina che prima della sua definita chiusura e del passaggio da sala di visione nazional-popolare a sala da ballo di una Firenze "da bere", è stata uno di quegli esempi più vivaci e coloriti di esperienza cinematografica nell'Italia degli anni Settanta e Ottanta. Un esempio di sala "interattiva" ante-litteram, in cui non solo era lecito ma quasi obbligato il commento a voce alta sui vari quadri del film. Come ci indica la dicitura "d'Essai" che accompagna il titolo del film così come il nome della storica sala del quartiere popolare Pignone a Firenze, l'Universale era destinato alla proiezione di film di solito considerati per un pubblico "di nicchia" (Antonioni, Bergman, Fassbinder, Pasolini) eppure attirava un pubblico ampio che andava dal giovane intellettuale all'operaio di fabbrica. Una commistione di voce popolare e di opera d'elite che è stato ciò che ha fatto di questa sala un caso più unico che raro, tanto da affascinare anche due fiorentini della generazione immediatamente successiva a quella degli assidui e chiassosi frequentatori: Matteo Poggi e Federico Micali. I due, rispettivamente produttore e regista di questo film documentario realizzato con 50.000 euro, si apprestano da oggi ad accompagnare la loro opera in giro per l'Italia, per esportare un po' di spirito goliardico fiorentino e raccontare anche fuori dalla sua provincia la storia di una sala che è anche la mitologia di un'esperienza spettatoriale del tutto peculiare ed oggi completamente perduta.

La genesi del film
Federico Micali (regista del film): Io all'Universale non ci sono praticamente mai stato, ma ho colto a posteriori il senso di ciò che avevo perso. Tutti i fiorentini sopra i 40 anni conoscono il cinema Universale di Firenze ed è proprio questo coro di voci appassionate che ho cercato di incastonare all'interno della pellicola per far cogliere il senso di una vera e propria memoria collettiva. Si è trattato di un lavoro di montaggio impressionante, realizzato grazie a Yuri Parrettini a partire da moltissime interviste (60-70 persone intervistate e circa 80 ore di girato) e da scarsissimi filmati d'epoca o immagini di repertorio. La difficoltà principale è stata proprio quella di assemblare questo materiale così eterogeneo cercando di conferirgli un ritmo serrato ed una fluidità narrativa. A tal proposito sono stati utilizzati inserti brevi ma fondamentali come la ricostruzione in stop-motion del mitologico ingresso in sala di una vespa e una colonna sonora (curata da Giampiero Bigazzi) che segue il percorso del film e impreziosisce il senso di un'epoca. L'idea era infatti quella di rendere una realtà locale il più possibile "universale", appunto, ponendosi delle domande sul ruolo della sala cinematografica oggi, a fronte di un fenomeno dilagante come la chiusura delle vecchie sale cinematografiche. È insomma un film sull'amore per il cinema, inteso non solo come corpus di opere cinematografiche, ma anche come "esperienza in sala".

Le interviste agli habitué
Matteo Poggi (produttore del film ed autore del libro da cui è nata l'idea del documentario): Le interviste sono contributi appassionati e disinteressati che i vari habitué ci hanno donato più per per l'amore viscerale che ancora (a vent'anni distanza) li lega a questo luogo. Persone a cui, come nominavamo il cinema Universale e l'intento del nostro progetto, si illuminavano gli occhi e subito cominciavano a prodigarsi in aneddoti di ogni tipo. Il bello di questo cinema è che era un cinema d'essai che cercava una partecipazione con lo spettatore, non solo nell'idea del commento a voce alta ma anche nel processo di selezione dei film proiettati. Il suo pubblico era un pubblico piuttosto eterogeneo, che andava dagli studenti universitari degli anni Settanta, intellettuali e di ideologia rivoluzionaria, ai più eccentrici abitanti di un quartiere come il Pignone, un quartiere vicino al centro storico ma estremamente popolare. Tutto ciò creava una sinergia, un'identità collettiva, un vulgus estremamente creativo e a suo modo unico nel suo genere.

Come vedete il fenomeno della proliferazione dei multisala?
F. Micali: Direi che il film prende una posizione solida a questo proposito. Ha un messaggio chiaro: è un amarcord storico e per certi aspetti anche nostalgico e anacronistico. Ma senza dubbio si tratta di un atto d'amore per un luogo che permetteva di respirare e di far vivere un film, ogni volta in modo diverso grazie anche all'esperienza che si creava con un pubblico ogni volta diverso.
Stefania Ippoliti (Presidente della Toscana Film Commission, che ha co-finanziato il film): La lotta contro le multisale la si combatte con la passione, con la promozione di un'identità e di una cultura cinematografica. Ho fiducia in un progetto di ritorno a quel luogo di fascino e di affetti che era la sala cinematografica dove la gente entra a scatola chiusa, per un rapporto di fiducia che si è creato grazie ad una programmazione a ciclo continuo e con eventi di ogni tipo. Un luogo dove c'è lo schermo, ci sono gli incontri con esperti e addetti ai lavori, c'è il caffè, magari anche happening improvvisati ed irripetibili come quelli che avvenivano all'Universale. Un punto di ritrovo per tutti coloro che amano il cinema ad ampio raggio. Certo è complicato, forse impossibile, realizzare lo stesso tipo di pubblico, la stessa sinergia. anche considerando che il contesto storico e le abitudini di fruizione sono sostanzialmente cambiate. Però penso sia proprio in questa idea di cinema che si può ritrovare uno spirito di condivisione dell'esperienza cinematografica.

È una storia fiorentina oppure può riguardare un mondo intero di appassionati di cinema?
M. Poggi: C'è nei fiorentini un carattere autoctono, radicato in un umorismo che si esprime attraverso il cinismo, lo sberleffo, una cattiveria agrodolce. Il cinema è però un punto di ritrovo e di condivisione da sempre in tutto il mondo, quindi la storia dell'Universale non è una storia che riguardi i soli fiorentini, che in altre parti d'Italia. L'idea della condivisione di un'esperienza non è propria solo del cinema, ma è un'idea antropologica. Adesso è certo più difficile, perché a quei tempi si avevano altri valori ideologici, politici, etici.
F. Micali: Se guardiamo a Roma di Fellini, si capisce che questo tipo di spettacolo confusionario e chiassoso fa parte di una cultura popolare italiana. A Firenze invece che con l'avanspettacolo, c'è stato il caso piuttosto isolato di un cinema più di ambito intellettuale importato in una sala popolare. Questo mix è la forza sostanziale della storia che raccontiamo, una storia avvenuta in un momento in cui la gente andava al cinema a vedere (e commentare) soprattutto i film di Bud Spencer e Terence Hill o la commedia sexy all'italiana.
M. Poggi: Fra le scelte del pubblico, non c'era solo La chiave o film comici. C'era anche e soprattuto Fassbinder, Bergman, El Topo di Jodorowsky, film scelti da persone che potevano avere un'istruzione che non andava oltre la terza media. La gente veniva rapita dai toni drammatici di perdenti come Dustin Hoffman in Un uomo da marciapiede o di Robert De Niro in Toro scatenato e si coinvolgeva, si immedesimava.

È, a vostro modo di vedere, una fruizione "giusta" quella che proponeva l'Universale?
F. Micali: Io non prendo una posizione. Questo non è il mio punto di vista specifico su come a me piace vedere un film al cinema. Io voglio raccontare quello che era il cinema Universale, dal punto di vista di un'etica documentaristica. Andare all'Universle significava sapere a cosa si andava incontro, al tipo di chiasso e di interattività che erano propri di quel luogo, quasi una caratteristica riconosciuta, e col tempo proprio per quel motivo la gente andava a quel cinema, che era una delle sale più di successo del circuito fiorentino.
Giorgio Van Straten (uno dei "frequentatori" dell'Universale intervistati nel film): Cinema Universale d'Essai è un'operazione utile soprattutto da un punto di vista storico. Perché racconta con entusiasmo nasce un periodo in cui non c'era neanche il videoregistratore e quindi il cinema era davvero un'esperienza di gruppo il più delle volte "interattiva". L'Universale era un luogo che realizzava una commistione fra una forte connotazione politica orientata a sinistra ed una dimensione della cultura radicata nel popolo. Sono convinto che le due dimensioni possano ancora convivere ma è vero che oggi vince la passività e la standardizzazione.

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