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Ritratto in giallo degli irriverenti commissari della tv

La fiction italiana riflette sul senso di giustizia.
di Nicoletta Dose

Le grandi città americane e la periferia italiana
Angela Baraldi (59 anni) 12 giugno 1964, Bologna (Italia) - Gemelli. Interpreta Giorgia Cantini nel film di Guido Chiesa Quo Vadis, Baby?.

giovedì 26 febbraio 2009 - Televisione

Le grandi città americane e la periferia italiana
In America la serialità televisiva di successo sfodera le armi migliori tra le corsie d'ospedale (come il veterano ER – Medici in prima linea insegna) o nelle imprese incredibili della Scientifica di CSI, sulle spiagge di Miami o tra i grattacieli di New York. In ogni caso, al centro delle serie c'è sempre la grande città, con le sue strade trafficate, le luci al neon e la sensazione di essere un piccolissimo tassello di una macchina talmente grande da andare avanti senza badare ai dettagli. In Italia le cose sono molto diverse: i nostri commissari si occupano principalmente della risoluzione di casi nella provincia più nascosta e quando scovano indizi in città importanti, la mano del regista toglie tutto ciò che è riconoscibile per mettere in luce – o in nero – gli angoli più bui, i portici degradati e i locali di periferia dove la musica di sottofondo non può essere altro che una malinconica ballata rock. Almeno questo succede a Bologna alla investigatrice privata Giorgia Cantini (Angela Baraldi) di Quo Vadis, Baby? che fa coppia con il commissario Johnny Riva (Bebo Storti), ex pornodivo con un gusto feticista per i tortellini.

La forza dell'intuizione
Qui da noi non ci sono tecnologie avanzate per indagare sugli omicidi (come farebbe Veronica Mars a portare a termine le sue indagini senza l'aiuto dei gadget da FBI?) o per scoprire i piani di pericolosi terroristi (senza il computer, il giovane e ambizioso Timothy Mcgee di NCIS non saprebbe da che parte cominciare). L'unica eccezione è la squadra dei Ris capitanata da Venturi (Lorenzo Flaherty), serie investigativa nata e costruita sulla base dello statunitense 'police procedural drama' CSI, sia nella portata dei crimini che nello stile narrativo: inquadrature in continuo movimento, recitazione seria e posata, ambientazioni fredde e minimaliste che ricordano l'inospitalità di una stanza da interrogatorio. Tutti gli altri commissari, poliziotti, detective della serialità italiana si affidano fiduciosamente alla forza delle intuizioni, supportate da indagini sul campo e dall'attenzione a ciò che si nasconde dietro le parole dei sospettati. Senza strani aggeggi della tecnica più evoluta: ve lo immaginate il commissario Montalbano alle prese con tecnologie americane e attrezzatura degna di un qualsiasi ispettore dell'FBI? Probabilmente direbbe "Non scassatemi i cabasisi!" e uscirebbe per strada, sotto il caldo cocente della Sicilia più rurale, a cercare di incastrare il prossimo indiziato.

L'antieroismo dell'ispettore italiano
La peculiarità dell'investigazione all'italiana diventa così l'ironia, la capacità di non prendersi troppo sul serio, nemmeno di fronte a casi gravi e raccapriccianti. Tendenza inaugurata con l'antieroismo de Il maresciallo Rocca (1996) e proseguita con la comicità innata di Veronica Pivetti nei panni di un'insegnante con l'hobby dell'investigazione in Provaci ancora prof! (2005) o quella del mattatore dei 'pacchi' Flavio Insinna in Ho sposato uno sbirro (2008). Negli anni si è sempre più perfezionata una rappresentazione briosa e irriverente del giallo di provincia fino a raggiungere risultati eccellenti. Lunedì sera è andato in onda l'ultimo episodio del poliziesco Il bene e il male diretto da Dario Acocella e Giorgio Serafini, quest'ultimo già coinvolto in passato nella realizzazione di Senza via d'uscita – Un amore spezzato (2007) con Massimo Ranieri e Anna Galiena. La tv generalista si è lasciata sedurre dal fascino del mistero: oltre alle vicende dei quattro protagonisti al bivio tra 'bene' e 'male', su canali diversi abbiamo seguito le peripezie de L'ispettore Coliandro e de Il commissario Manara (spin-off di Una famiglia in giallo con Giulio Scarpati), esempi decisamente atipici di serietà professionale.

Un grande senso di giustizia
Ora che li abbiamo conosciuti e ne abbiamo seguito le prodezze, possiamo provare a confrontarli per tentare di tirare le somme. Cominciamo con lo sguardo severo di Gianmarco Tognazzi che veste i panni di Claudio Anastasi ne Il bene e il male, capo del commissariato con una pluridecennale esperienza nel campo delle indagini; il suo ruolo, affiancato dalla presenza di Antonia Liskova, Bianca Guaccero e Marco Falaguasta, ben si assembla con le tinte noir ed estremamente violente della serie girata a Torino. La collocazione della fiction, passata in prima serata ogni lunedì, è sembrata un po' privativa, vista la concorrenza dei reality "Grande Fratello" e di "X-Factor". Così il pubblico ha piano piano abbandonato il senso di giustizia del commissario Anastasi che ha comunque conquistato una vetta di quasi 5 milioni di spettatori nelle prime puntate. Lo spettatore più giovane ha preferito la spocchia dei 'colleghi' Coliandro e Manara. Il primo ha il volto di Giampaolo Morelli (già visto nella quinta stagione di Distretto di polizia), bello, occhi chiari, capelli scuri, apparentemente playboy. Ad osservarlo con più attenzione si scopre che le donne non sono proprio la sua passione. O meglio, le vuole come amanti ma per il resto è un perfetto esempio di misoginia irrecuperabile. Vorrebbe essere come Serpico ma finisce per assomigliare più al Monnezza di Tomas Milian, volgarotto e pasticcione. Scritta da Carlo Lucarelli e diretta dai Manetti Bros., la serie, girata a Bologna, è sorella de Il commissario Manara di Davide Marengo, il regista del noir Notturno Bus. Qui abbiamo Guido Caprino, riccioluto, giubbotto di pelle, ray-ban arancioni, sembra uscito dagli anni Settanta. Gli intrighi sentimentali con Lara (Roberta Giarrusso) fanno da contraltare ai casi da risolvere, tutti ambientati in Toscana, nella bassa Maremma. A differenza di Coliandro, Manara è un vero sciupafemmine. Ad accomunare tutti i commissari della nostra tv c'è quella voglia di sdrammatizzare, di raccontare delle storie dure con realismo, dando il giusto peso a quel senso di giustizia che dovrebbe essere proprio della politica. In un momento storico come questo, dove il confine tra bene e male diventa sempre più labile, Manara, Coliandro e Anastasi provano a dare qualche risposta.

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