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The Spirit, cinema più digitale che reale

Frank Miller continua a cercare con il digitale una nuova estetica personale.
di Gabriele Niola

The Spirit dimostra come un cinema più digitale che reale sia possibile
Gabriel Macht Altri nomi: (Gabriel Swann ) (52 anni) 22 gennaio 1972, New York City (New York - USA) - Acquario. Interpreta The Spirit/Denny Colt nel film di Frank Miller (III) The Spirit.

lunedì 22 dicembre 2008 - Making Of

The Spirit dimostra come un cinema più digitale che reale sia possibile
In un certo senso quello che Frank Miller ha cominciato a fare con Sin City e che ha portato decisamente in avanti con The Spirit è la piena realizzazione di ciò per cui gli effetti digitali sono nati: piegare la realtà filmata alle idee estetiche di chi filma.
Il cinema non dice mai la verità, inquadra certe cose in un certo modo e già in quello c'è una visione parziale della realtà che rispecchia la volontà dell'autore. Il cinema digitalizzato e stilizzato di Miller poi espone questa bugia, moltiplicandola all'infinito per realizzare qualcosa che sia il più lontano possibile dal realismo ma che sappia contemporaneamente coinvolgere.
Le possibilità creative legate ad uno stile visionario come quello esibito in The Spirit sono altissime e coinvolgono tutte le parti di un film: dalle scenografie (curatissima è infatti la realizzazione di Central City) al lavoro degli attori (esaltati all'idea di creare un personaggio con mezzi che vadano anche al di là del semplice trucco), fino a quello del montatore o del direttore della fotografia. Lo racconta bene Stuart Maschwitz, supervisore agli effetti visivi quando dice: "Normalmente dobbiamo prendere un'inquadratura che è pressochè completa e aggiungere soltanto un piccolo elemento. Con The Spirit avevamo un piccolo elemento importante, ossia le interpretazioni, e dovevamo inserire tutto il resto".
E sebbene non sempre nel film le idee avanguardistiche abbiano trovato una realizzazione accettabile, lo stesso l'esperimento che continua da Sin City (e che ha trovato una parziale variazione sul tema in 300) ci mostra come un cinema più digitale che reale sia possibile e abbia senso.

L'acqua, l'ultima frontiera degli effetti digitali, ha colpito ancora
Le sequenze subacque in un certo senso pongono sempre un problema nei film e nel mondo caricato e stilizzato di The Spirit l'idea era che non si potesse avere una sequenza subacquea canonica, ma che anche il modo in cui i corpi e i capelli si agitano sott'acqua dovesse avere sembianze fumettistiche e caricaturali. Per realizzare dunque questa complessa visione di Frank Miller si è arrivati a livelli molto alti di sperimentazione tecnologica che però non sono riusciti a dare vita ad un prodotto finale in linea con lo sperimentalismo tecnologico del resto del film.
Innanzitutto non è stata usata nemmeno una goccia d'acqua, l'acconciatura e il trucco dei protagonisti sono assolutamente intatti. Come accade nel mondo visuale ed iconografico del fumetto classico le sembianze non cambiano sott'acqua e così doveva essere anche in The Spirit.
I riflessi e i bagliori acquatici sono tutti frutto della post produzione digitale ma per ottenere l'effetto del galleggiamento si è scelto di imbracare gli attori e riprenderli con una macchina da presa molto particolare, la Phantom, utilizzata solitamente in ambiti scientifici per la sua alta velocità. Riprendendo a molti fotogrammi al secondo infatti si può poi dosare meglio la velocità di visualizzazione realizzando dei ralenti accurati che diano il senso del movimento subacqueo. Infine è stato necessario un attento studio dell'illuminazione per ottenere colori e luminosità tipiche del mondo sottomarino.
Si tratta di trucchi tipici i quali, sommati insieme, dovevano incastrarsi con la post-produzione digitale e le nuove possibilità di sovrascrittura sull'immagine. Aggiungendo cioè gli effetti acquatici il movimento rallentato doveva diventare una perfetta metafora della vera azione subacquea. Ma così non è stato.
La cosa più sorprendente infatti è che alla fine di tutto questo il risultato lascia altamente a desiderare, e queste sequenze sono tra le meno riuscite di tutto il film. Non solo non riescono a rendere l'effetto desiderato ma si pongono come altamente antiestetiche tirando di fatto fuori dal film lo spettatore. Un perfetto esempio di fallimento tecnologico nonostante le migliori intenzioni.

Il lavoro dell'attore
Dopo il primo esperimento in qualità di regista al fianco di un collega più esperto come Robert Rodriguez, il fumettista Frank Miller per The Spirit si è dovuto misurare da solo con la quotidianità del lavoro sul set fatta di rapporti con tecnici e maestranze, e quindi si è dovuto misurare con il fatto che al cinema un personaggio non è "disegnato" dall'autore ma dal regista in accordo con gli attori che hanno in mano la parte più materiale del lavoro.
A questo si aggiunge il fatto che in un film come The Spirit il lavoro e le potenzialità di influire sul risultato finale che sono nelle mani di un attore aumentano esponenzialmente per la possibilità di modificare ogni elemento della messa in scena.
"Io ho lavorato quasi sempre ad una scrivania da disegno, realizzando storie e immagini e dando vita ai miei attori da solo" ammette il fumettista. "Quindi probabilmente la sorpresa maggiore è che amo gli attori e adoro lavorarci insieme. Tutti nel cast sono stati fantastici. Penso veramente che l'attore crei il personaggio e che il regista dia semplicemente una mano".
A conferma delle sue parole arriva anche la reazione di Samuel L. Jackson che una volta visti i set minimalistici (se non inesistenti) e i primi costumi ha subito capito le potenzialità nelle sue mani: "Ci siamo molto divertiti a riflettere sul personaggio", spiega l'attore, "e abbiamo presto realizzato come potessimo portarlo ad un altro livello grazie al makeup, alle parrucche e alle tante altre cose elaborate sul mio volto in post produzione".

Central City a partire da New York City
Fondamentale è nel film la dimensione visuale della città. Central City viene raccontata come l'unica amante che il protagonista ami davvero. Viene venerata, descritta verbalmente e incensata, così ad un certo punto tutte le anticipazioni devono trovare una conferma in ciò che si vede. In sostanza Central City deve essere una città contemporaneamente metropolitana come la conosciamo ma anche sufficientemente astratta e ideale per fare sì che lo spettatore comprenda l'amore del protagonista. A tale scopo Miller per la sua visione è partito dalla città moderna per antonomasia: New York.
A raccontarlo è Stuart Maschwitz: "Central City è la New York che Frank vede quando va in giro per Manhattan. Abbiamo scelto e preso dei frammenti della città vera, in modo che ci sia un realismo tangibile e una confusione tipica di un ambiente urbano, ma poi abbiamo eliminato accuratamente le parti che non sono adatte al mondo di Frank e di Eisner. Così alla fine il risultato è Central City. Il film è veramente una lettera d'amore a questo luogo".
Dunque un miscuglio tra immagini reali e fittizie, tra tetti reali e sfondi impossibili, tra elementi cancellati o aggiunti in post produzione e un caos non riproducibile artificialmente, cioè il segreto stesso del fascino dell'idea milleriana di cinema: "La tecnologia digitale e il CGI sono arrivati al momento giusto per una persona con le mie doti", racconta proprio Frank Miller, "Io racconto delle storie per mezzo di immagini. Quello che amo della CGI al cinema è che se io posso immaginare una cosa allora possiamo crearla. E pur essendo questa tecnologia il futuro, possiamo anche riportare in vita il passato. Non solo il passato fumettistico di una città dall'aspetto strano e dalle forti luci, ma anche del noir classico. Volevo che The Spirit possedesse l'aspetto impressionante e pauroso di questi vecchi film".

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