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Il presente continuo di Jonathan Demme

Figura anticonvenzionale dentro e fuori Hollywood, Demme si trasforma in continuazione girando un film diverso dall'altro.
di Marianna Cappi

Non è una posa
Jonathan Demme 22 febbraio 1944, Baldwin (New York - USA) - 26 Aprile 2017, New York City (New York - USA). Regista del film Femmine in gabbia.

giovedì 20 novembre 2008 - Celebrities

Non è una posa
Truffaut gli ha aperto gli occhi con Tirate sul pianista e Roger Corman l'ha messo per la prima volta al volante di un film, Femmine in gabbia. Non poteva non venire alla luce, sotto questi auspici, un regista imprevedibile, innanzitutto per se stesso. Colto e intelligente, specie nell'evitare ogni intellettualismo, Jonathan Demme, dentro e fuori Hollywood, è una figura autenticamente anticonvenzionale prima di tutto perché (lo è e) non lo fa, non posa, semplicemente si trasforma, gira un film diverso dall'altro, mette in difficoltà i critici che per chiamarlo autore vorrebbero che rifacesse se stesso, mescola sofisticati omaggi a Hitchcock con elementi grotteschi quando non proprio kitsch. I suoi esordi, nel nome del cinema di genere, già dicono della sua inclinazione per i cambi di registro e della sua predilezione per un cinema che non scalpita per occupare il centro della scena, ma prova a guardare il mondo da differenti punti di vista. Si affaccia un'attenzione alla multirazzialità che scorrerà nella sua filmografia come filo conduttore senza saltare una stazione.

Qualcosa di femminile
Dà il peggio di sé quando è imbavagliato dalla produzione o dallo star-system (Tempo di Swing) e il meglio di sé quando è libero di occuparsi di quel che vuole e di farlo con chi vuole. Qualcosa di travolgente (Something wild) è esattamente questo: una black love story su una squinternata e un antieroe, che passa senza soluzione di continuità dalla commedia al noir e vanta la fotografia di Tak Fujimoto e la musica di David Byrne, due certezze nella vita professionale dell'autore.
Il personaggio di Lulu alias Audrey, impersonato da Melanie Griffith, entra sgommando nella storia del cinema e ci rimarrà parcheggiato per sempre, per la portata di libertà e di apertura che incarna, ma nel film si danno convegno anche altre costanti: dal road movie all'affresco di provincia, dalla scelta di protagonisti ai margini della società del benessere all'uso della musica live.

Lo sguardo di Clarice
Nella galleria dei personaggi femminili scolpiti con mano gentile ma più che mai incisiva da Demme, dopo la Vedova allegra... ma non troppo di Michelle Pfeiffer -ancora una volta espressione di una voglia di libertà da un mondo maschile troppo codificato e approdo tra le braccia di una "sorella" che le cambia la testa (e non solo perché fa la parrucchiera)- un posto d'onore spetta a Clarice Starling, la giovane detective del Silenzio degli innocenti. Il film scandalizza, inquieta e regala al suo autore un Oscar per la regia. Formalmente, si propone come un vero e proprio saggio sul punto di vista e sui meccanismi dell'identificazione messi in atto dalla macchina cinema, in particolare attraverso l'uso della soggettiva, ma forse la miglior collocazione di quest'opera all'interno della filmografia di Demme la suggerisce l'immagine del lepidottero, simbolo –rieccoci- del cambiamento.

Tra fiction e non
Gli anni Novanta si aprono sotto due insegne, destinate a durare fino ad oggi: mentre, da una parte, si va precisando un discorso politico, da sempre presente, e in particolare un'attenzione al rapporto complesso tra individuo e comunità, si va assottigliando, d'altra parte, la separazione netta tra fiction e documentario, come dimostra Cousin Bobby, il lungometraggio dedicato ad un cugino religioso coinvolto nella protesta delle Black Panthers e come ribadirà la sortita in rapida successione del non fictional The Agronomist e del fictional The Manchurian Candidate. In mezzo, si situa Philadelphia, produzione high-budget, che incassa Oscar (Tom Hanks e Bruce Springsteen) e polemiche, trasforma definitivamente Demme in un regista hollywoodiano, per quanto sui generis, ma è anche e soprattutto un film per il riscatto e contro la discriminazione, cui fa eco lo sfortunato Beloved, dal potente romanzo di Toni Morrison.

Presente continuo
Ci vuole, infine, un'occasione, una festa, per dar modo a Demme di riaggomitolare i fili e allestire uno spettacolo emotivamente violento e spazialmente contenuto, in cui commedia e dramma giungono ad alternarsi non più soltanto all'interno dello stesso film ma persino di una stessa scena. Memore di Cassavetes, Demme allarga le righe della sceneggiatura per mettere i suoi attori in condizione di improvvisare, non decide anzitempo i punti di ripresa, lascia che l'evento psicologico e interpretativo nasca con i suoi tempi e li documenta. Resta un narratore, ma si lega ad uno stile antinarrativo, si libera del palcoscenico, trova l'emozione dell'arte nella vita e restituisce l'emozione della vita nell'arte. Rachel sta per sposarsi (Rachel's getting married), come indica il tempo del titolo, è un film che si svolge mentre la pellicola si srotola, dove il regista non è più demiurgo (come nel Silenzio degli Innocenti) ma testimone, e la protagonista femminile deve fare i conti con una liberazione che potrebbe non riuscirle mai. Qualcosa è cambiato. Ancora una volta.

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