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Rachel sta per sposarsi: D is for Demme, Dogma, Digitale

Con uno sguardo da accorto documentarista, Jonathan Demme torna al film di finzione per un dramma intimo e totale.
di Edoardo Becattini

America Oggi
Anne Hathaway (Anne Jacqueline Hathaway) (41 anni) 12 novembre 1982, New York City (New York - USA) - Scorpione. Interpreta Kym nel film di Jonathan Demme Rachel sta per sposarsi.

lunedì 17 novembre 2008 - Approfondimenti

America Oggi
L'America in un interno, colta fra le mura domestiche di una villa familiare del Connecticut in cui fervono i preparativi per un matrimonio. I fantasmi e le fragilità di una nazione nell'intimità di una cerimonia privata. Rachel sta per sposarsi. È già all'interno del titolo dell'ultimo film di Jonathan Demme che riposa tutto il suo nucleo narrativo: preambolo, svolgimento ed epilogo del matrimonio di Rachel, figlia maggiore della bianca famiglia Buchman e promessa sposa a Sidney, musicista nero proveniente dalle Hawaii. Cronaca di una vicenda familiare seguita come fosse un home movie, un filmino di nozze girato da uno degli invitati, accordando privilegio alla sorella minore di Rachel, Kym (Anne Hathaway), giovane modella con problemi di droga, temporaneamente dimessa dalla clinica di rehab solo per presenziare alla lieta occasione. All'interno di questa felice parentesi familiare, Kym rappresenta l'anomalia, la scheggia impazzita destinata a far riemergere traumi e turbamenti nascosti sotto il tappeto. Un trauma appartenente al passato, eredità di una tragedia che la presenza di Kym riporterà drammaticamente in superficie.
Dopo due remake, Demme torna ad una sceneggiatura originale (primo manoscritto di Jenny Lumet, figlia del più celebre Sidney), e lo fa portando con sé per la prima volta su un set la stessa macchina da presa digitale con cui ha fatto esperienza nel documentario, girando fra le varie famiglie di uno dei quartieri più poveri di New Orleans, il Lower 9th Ward. E da quei luoghi Demme porta in questo film alcuni volti, quasi come a sottolineare una continuità nello stile e nelle intenzioni, a legare assieme il dramma umanitario di tutte quelle persone cui l'uragano Katrina ha portato via case e ricordi, ed una benestante famiglia del Connecticut segnata da una disgrazia personale. Con il proposito di disegnare il profilo dell'etica e dell'orgoglio dell'America oggi.

Nel culto del cinema americano È un doppio binario quello lungo cui scorrono l’ultimo film di Jonathan Demme ed ogni relativo tentativo di lettura. L’estetica ruvida ed imperfetta della macchina a mano e della grana digitale rappresentano apparentemente una discontinuità radicale nella carriera di un regista abituato ad astrarre l’elemento perturbante da pratiche cinematografiche preconosciute e collaudate. Eppure l’operazione di Demme è perfettamente coerente: il regista newyorkese sta percorrendo un sentiero già battuto, che dai movimenti di macchina erratici e sincopati di John Cassavetes, all’estetica normativizzata del Dogma 95, è divenuta modalità espressiva riconosciuta e riconoscibile. Lo stile con cui Demme si muove fra i membri della famiglia Buchman e gli invitati alla cerimonia è effettivamente molto vicino ai dettami di quel “voto di castità” redatto dal movimento danese, così come nella scansione drammaturgica e nella progressiva discesa negli inferi di un nucleo familiare in un giorno di festa, c'è un'evidente comunanza anche con l’opera prima certificata Dogma, Festen di Thomas Vinterberg. Ma il vero "dogma" professato da Jonathan Demme non sottostà ad un furbo voto di castità, né cerca di richiamare la sua attenzione su di un paventato purismo linguistico. Demme predica la sua religione di cinema ponendo la grandezza della cinematografia americana come verità indiscussa.
Da una parte abbiamo la storia di Kym, perfettamente coerente con la struttura della grande forma del cinema classico (abbiamo anche qui una situazione di partenza, sconvolta dall'entrata in scena di personaggio tragico e complesso, ed un'uscita di scena finale che riporta ad uno status quo modificato); dall'altra ci sono i più espliciti riferimenti al cinema americano della modernità, ognuno di essi nominabile, come il già citato Cassavetes o il "maestro" Roger Corman (che in Rachel fa un’invisibile apparizione munito di piccola videocamera), ma sono evidenti anche gli influssi del cinema corale e "dispersivo" di Robert Altman (cui è anche dedicato il film) e alla vena documentaristica storico-etnografica e di ampio respiro di Robert Kramer. Sta di fatto che Demme in questo film propugna un sentimento di sacralità per la cultura cinematografica americana e si erge a vero e proprio apologeta di essa.

Elegia per gli USA
Il forte riflesso dell'immaginario americano è senza dubbio una costante in tutto il suo cinema: un cinema che dalle prime ribellioni patrocinate da Roger Corman, al gioco di ibridazione fra farsa e noir di Qualcosa di travolgente o Una vedova allegra, fino ai più recenti di classici come Sciarada (The Truth about Charlie) o Va' e uccidi (The Manchurian Candidate), vive una profonda venerazione per la storia del cinema americano e per i suoi generi. Ed anche la musica, che in tutti i film di Demme svolge un ruolo essenziale, vive dello stesso doppio rapporto, radicandosi nella cultura musicale americana (i Talking Heads, Bruce Springsteen, Neil Young, così come le blue notes della Louisiana) e al tempo stesso ibridata, come in quest'ultimo film, dove, con una trovata (stavolta sì) davvero "dogmatica", Demme riesce a rendere la straordinaria partitura musicale realizzata dal sassofonista jazz Donald Harrison Jr., dal musicista palestinese Zafer Tawill e dallo stesso figlio del regista, una performance "live" diegeticamente situata, con l'orchestra di musicisti che continuamente prova in sottofondo il repertorio per le nozze ed accorda i propri strumenti in fuori campo.
Rachel Getting Married è in sostanza un film, con lo stile di un documentario e l'andamento lineare di una partitura musicale. E riesce ad esserlo perché porta in sé, come e più che negli altri di Demme, la forza di un grande ritratto sugli Stati Uniti, capace di raccontare in sottotesto dell'america di oggi tanto la contaminazione culturale dei matrimoni di etnia mista, quanto le conseguenze dell'amministrazione Bush. In più occasioni abbiamo infatti il punto di vista "oggettivo" del narratore-Demme che si identifica in modo significativo con l'obiettivo della telecamera tenuta in mano dal cugino dello sposo Sidney, soldato in congedo dal fronte iracheno. Quasi come a dotarlo di un punto di vista "corporeo", somatizzato. E a volerne fare testimonianza ulteriore di una storia americana che, nella sua grandezza, vive anche di tragedie quantomai attuali.

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