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Obama e la nuova frontiera: sentimenti "western"

In uscita in questi giorni una serie di classici del west: un caso "virtuoso".
di Pino Farinotti

La vera forza della nostra nazione scaturisce dal richiamo intramontabile dei nostri ideali: democrazia, libertà, opportunità e una speranza indomita

lunedì 17 novembre 2008 - Focus

La vera forza della nostra nazione scaturisce dal richiamo intramontabile dei nostri ideali: democrazia, libertà, opportunità e una speranza indomita
È un passo del discorso di insediamento di Barack Obama. Il neopresidente richiama una serie di concetti che si rifanno al tradizionale sentimento americano. Possiamo chiamarla "nuova frontiera", l'ennesima della storia americana. Così come la chiamò John Kennedy, impostando il suo programma sociale, e ideale, che valorizzava le minoranze ( i neri, le donne e le generazioni più giovani, fra le altre). Kennedy aveva davanti a sé quasi tutto il percorso, adesso il percorso si è compiuto, ancora una volta all'americana, in chiave di ideale e di sogno. Si è compiuto con un presidente nero. La nuovissima frontiera è ... arrivata in fondo, certo come intenzione e concetto, poi ci sarà da agire, perfezionare, lottare, soffrire. Risolta l'idea ci sarà la politica. "Opportunità e speranza indomita". Sono parole perfette, da "vecchia frontiera". Sono parole da west. Sono proprio di questi giorni le uscite di alcuni fra i più grandi classici di quel genere. Non credo che il marketing delle Case che hanno distribuito questi grandi titoli abbiano previsto l'avvento di Obama e dei suoi principi e abbiano organizzato le proposte di conseguenza. Ma se è così, davvero complimenti a quei responsabili.

La conquista
Gli appassionati attendevano la pubblicazione de La conquista del west del 1962, uscito allora in Cinerama, ridotto adesso in cinemascope dalla Warner con un procedimento molto complesso. Basterebbe quel titolo. Per cominciare gli attori: John Wayne, James Stewart, Henry Fonda, Gregory Peck, Richard Widmark, fra gli altri. E i registi che firmano l'opera: John Ford, George Marshall, Henry Hathaway. Ci sono davvero i massimi simulacri del western. Ad accompagnare i tre episodi che compongono il film c'è la voce di Spencer Tracy che narra la vicenda di una famiglia che parte dall'Est verso l'Ovest, sì pionieri. Siamo nel 1830, e attraverso tre generazioni si racconta la storia americana, si racconta la frontiera. Il patriarca è James Stewart, cacciatore, che la "voce" definisce, con una bella didascalia di integrazione (appunto), "più indiano degli indiani stessi". Poi c'è la febbre dell'oro, la guerra civile, il progresso rappresentato dalle due grandi ferrovie che tagliarono in senso opposto gli Stati, la legge portata a fronteggiare l'anarchia e il banditismo in quelle lande immense e lontane. Tracy conclude dicendo "la frontiera lasciava l'eredità grande e completa di un popolo libero di sognare, di agire, di plasmare il proprio destino." Sono parole "obamiane".

Ruolo-guida
G iubbe Rosse è un gran classico di De Mille con Gary Cooper. Un ranger del Texas attraversa il confine del Canada per catturare un assassino. Si rapporta con le Giubbe rosse locali. Altra integrazione e altra indicazione squisitamente americana: veniamo nel vostro paese a darvi una mano, fidatevi. Un segnale di ruolo-guida degli Usa che arrivava dall'altro presidente di frontiera, Kennedy appunto. Un altro maestro di western è John Sturges (I magnifici 7, Sfida all'O.K. Corral) che nel '53 firmava L'assedio delle 7 frecce, con William Holden. Un gruppo di confederati è prigioniero dei nordisti. Ma quando gli indiani attaccano, il comandante nordista distribuisce le armi anche al (ex) nemico, e tutti fanno fronte comune davanti al pericolo mortale. Lo sconfitto si alleava col vincitore. Tutto ciò non si lega alla dichiarazione di collaborazione, quasi un atto di fede, dello sconfitto John McCain verso il vincitore Obama? Douglas Sirk, regista simbolo del melò, firma un western col suo preferito Rock Hudson, Il figlio di Kociss. Hudson è Taza, che si oppone al violento Geronimo cercando una convivenza coi bianchi. Dolorosamente arriva, per dare un segnale, a indossare la divisa della cavalleria. "Integrazione&frontiera, vanno bene anche qui.
Altro titolo della filiera virtuosa è La notte dell'agguato, di Robert Mulligan. Gregory Peck è una guida, gli viene affidata una donna, bianca, a suo tempo rapita dagli indiani, che ha avuto un figlio con un capo apache. Dopo averla protetta da violenze e pregiudizi alla fine la sposa, naturalmente adottando il piccolo apache. Altra integrazione, altra "frontiera". Il western è davvero portatore di tutta la più bella americanità. È quasi naturale che non abbia più trovato spazio nell'era recente del cinema, più impegnato a rappresentare altri contenuti, di contrasto, di fantasy articolata, di violenza fine a stessa, di rivendicazioni e di orrore (inteso non solo come genere). Non era più tempo di western, chissà che tra una frontiera e l'altra torni anche, come "speranza indomita", quel genere, felice, di cinema.

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