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Max Payne, il ragazzo con le pistole

A Roma per promuovere Max Payne, Mark Wahlberg ci racconta il "dolore massimo" di un poliziotto virtuale, le sue ambizioni registiche e i suoi successi produttivi.
di Marzia Gandolfi

Quel bravo ragazzo (armato)
Mark Wahlberg (Mark Robert Michael Wahlberg) (52 anni) 5 giugno 1971, Dorchester (Massachusetts - USA) - Gemelli. Interpreta Max Payne nel film di John Moore Max Payne.

lunedì 10 novembre 2008 - Incontri

Quel bravo ragazzo (armato)
Prima di essere un eroe virtuale incarnato dentro al cinema videogamizzato di Moore, prima di essere un professore di scienze nell'happening di Shyamalan, prima di mettere su famiglia e di andare a messa ogni (maledetta) domenica, prima di vivere una vita normale senza i privilegi dei "goodfellas" e prima della sua effettiva integrazione e dell'attestazione (pubblica e privata) di una compiuta dignità, Mark Wahlberg è stato un "bravo ragazzo" bostoniano. Nato nel quartiere irlandese di Dorchester, bagnato dal Mystic River e battuto dalla letteratura di Dennis Lehane, Mark ha una fisicità da "dritto" che ha resistito ad un'adolescenza di eccessi e violenza, un corpo-luogo di fascino infernale, sprofondato nella piaga delle proprie personali ambiguità. Quello che a sedici anni sembrava un gruppo in grado di accoglierlo e una via di affermazione di sé, si rivela inesorabilmente una trappola soffocante che lo condannerà al carcere e alla disfatta. Ultimo di nove fratelli di una coppia irlandese e cattolica, saranno il rap e il fratello maggiore Donnie, frontman dei New Kids On The Block, l'anticorpo contro la sua prematura decadenza. Dopo la condanna e la (parziale) neutralizzazione del ribelle, il ragazzo di Boston diventa un rapper con lo pseudonimo di Marky Mark. Bello e dannato, sexi e provocatore, compensa il modesto talento musicale con un fisico plastico, che svela strappandosi la camicia e calandosi i calzoni alla fine delle sue esibizioni coi Funky Bunch. Ma il primo prodotto del "white trash" emergente non è in grado di competere con i colleghi neri e incazzati che dominano marciapiedi e classifiche. Senza avere le "misure" del successo del Dirk Diggler di Boogie Nights, saranno gli scatti di Herb Ritt e l'intuito di Calvin Klein, testimone della travolgente creatività della Factory di Warhol, a trasformare l'adolescente dei bassifondi nella più grande promessa della Grande Mela.
Dall'alto di un cartellone pubblicitario e di una campagna senza precedenti, Marky Mark strizza il "pacco" in un celebre slip maschile, diventando parte integrante di Times Square. Dentro la biancheria intima e le linee "pulite" dello stilista newyorkese, il bad-boy dotato e fermamente etero, supera il tormento del nome (che abbandonerà) e dell'anonimato, utilizzando il successo come affermazione d'identità. La sua abilità grezza e poco educata, gli errori e le debolezze in cui è incappato nel corso della sua esistenza ne fanno l'interprete ideale del Boogie Nights in stile altmaniano di Paul Thomas Anderson. Il talento naturale, tutto istinto e spontaneità, gli spalanca i cancelli dorati di Hollywood, che lo vuole troppo spesso armato ragazzaccio in action. Adesso è il rispettabile (e pentito) Mr. Mark Wahlberg, si sogna regista, snobba i videogame, non disdegna la pistola, pratica il golf, fa il produttore esecutivo nella "gang" di Scorsese e torna al vecchio quartiere a confrontarsi coi ragazzi della strada e col suo doppio, quello che non ha mai perso la sua radicalità tragica e amorale. Quello che fa ancora i conti coi demoni e gli angeli neri.

Filmgame
M ark Wahlberg: Quando mi proposero la sceneggiatura ancora non sapevo che il personaggio che avrei interpretato fosse l'eroe di un videogame, e forse è stato meglio così. Non frequento molto i videogiochi né mi piace che lo facciano i miei figli. Io amo il golf e qualsiasi attività all'aperto, per questa ragione ho invitato i miei bambini a fare altrettanto, l'idea che esercitino soltanto i pollici mi spaventa. Mi rendo conto che i videogame hanno un grande mercato, mercato che non manca di competere col cinema ma ugualmente amo impiegare il tempo libero entrando in una sala cinematografica. Superate le prime perplessità sulle origini ludiche di Payne, ho trovato invece interessante il mio personaggio e ho deciso di vincere il pregiudizio, la sceneggiatura era buona e così ho accettato il ruolo. A quel punto ho comprato immediatamente il gioco per saperne di più sul mio poliziotto dark e per prepararmi ad interpretarlo. Ho affidato il videogame al mio assistente e durante le pause dalle riprese lo guardavo giocare, in questo modo mi sono fatto un'idea sulla sua esistenza virtuale e l'ho sviluppata sul set. Payne è veramente un bel personaggio, un uomo spinto dal dolore, dalla rabbia, dalle emozioni, un uomo che vuole vendicare il brutale assassinio della sua famiglia. E dalla famiglia, dal pensiero della mia famiglia sono partito per trovare il mood giusto per interpretare ed essere Max Payne.

Attore in action
M ark Wahlberg: Come uomo e come attore amo le sfide, per me è importante mettermi alla prova. Così quando M. Night Shyamalan in persona mi ha offerto il ruolo di un professore non ho potuto rifiutare. E venne il giorno mi offriva finalmente la possibilità di esprimermi dentro un altro genere e in ruolo che avrebbe forse potuto essere ben interpretato da Tom Hanks. Di fatto Shyamalan mi suggerì di non prendere mai più la pistola in mano dopo avere girato il suo film, disse che avrei potuto diventare il nuovo Tom Hanks, la cosa mi ha divertito ma ho naturalmente declinato il consiglio. Ero stufo di scappare da piante e alberi, avrei voluto fermarmi e affrontarle, avrei voluto scalciare e menare le mani, per questo sono tornato all'action. A me piace tenere in mano una pistola, a tutti piace tenere in mano una pistola, perfino a Tom Hanks. Mi viene più naturale drammatizzare i miei eroi in action, in fondo nella mia vita mi sono trovato molto spesso in situazioni critiche, se non addirittura pericolose, e sono esattamente queste esperienze che ho trasferito ai miei personaggi. Il mio passato, di cui non sono fiero e di cui farei volentieri a meno, conferisce alle mie interpretazioni spessore caratteriale e, azzardo, un po' di malizia. I ruoli oscuri mi calzano a pennello perché sono la parte che conosco meglio di me e della vita, ogni domenica vado a messa perché ho davvero molto di cui pentirmi. Come attore non ho una formazione accademica, quello che so l'ho imparato dalla strada e sulla strada. Questo non toglie che mi piacerebbe molto interpretare una commedia, magari un giorno, chissà.

Attore, regista e produttore
M ark Wahlberg: Confesso che amerei molto dirigere un film e una volta ci sono persino andato molto vicino, poi però ho lavorato con Peter Jackson e ho capito chiaramente di non essere pronto per fare il grande salto. La sua professionalità e il suo talento mi hanno aperto gli occhi e mi hanno fatto comprendere che non possedevo la sua eccellenza, ma è a quell'eccellenza che voglio arrivare. Se mi volto indietro mi rendo conto che fortuna sia stata lavorare con registi del calibro di Shyamalan, Scorsese, Burton, Jackson. Pur nelle loro differenze, Shyamalan è un vero dittatore, Scorsese un grande improvvisatore che crea sul set, Burton uno che strappa le pagine superflue delle sceneggiature, ciascuno degli autori con cui ho lavorato mi ha lasciato ricordi indelebili. Sul set mi hanno consentito di imparare, di capire il processo che conduce al prodotto finale. Questa è la loro ricompensa. Adesso che come attore mi sento meno insicuro ho voglia di sperimentare e di provare a lavorare con registi meno famosi e consolidati. All'inizio della mia carriera invece preferivo affidarmi ad autori garantiti e indiscussi che potessero consigliarmi, guidare e formare il mio talento. Mi piace anche esercitare l'attività di produttore. Fare il produttore mi consente di riconoscere ed esaltare il talento di giovani attori, dare loro una chance, un'opportunità, la possibilità di esprimersi. Le cose mi vanno piuttosto bene, dopo il grande successo di Entourage, un serial tv incentrato su una giovane star del cinema hollywoodiano e sul suo gruppo di amici, e dopo In Treatment, un'altra serie basata sulle sedute terapeutiche di cinque personaggi, gireremo tra aprile e maggio un altro progetto seriale con Martin Scorsese, sempre per la HBO, sulle origini di Atlantic City. Una storia di criminalità e corruzione ambientata negli anni Venti. La serie si ispira al libro di Nelson Johnson "Boardwalk Empire: The Birth, High Times and Corruption of Atlantic City. La messa in onda è prevista per novembre 2009.

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