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WALL•E: animazione con la macchina da presa

Con WALL•E il cinema d'animazione si dota di macchina da presa.
di Gabriele Niola

Alla ricerca di una perfetta imperfezione

martedì 14 ottobre 2008 - Making Of

Alla ricerca di una perfetta imperfezione
Se si parla dell'innovazione nel modo in cui si realizza animazione computerizzata il momento cardine di tutto WALL•E è quando Eve, da poco atterrata sulla terra esplora un centro commerciale e WALL•E, che la sta spiando, smuove dei carrelli della spesa che poi gli si riverseranno addosso inseguendolo e schiacciandolo contro la parete. In quella scena la macchina da presa si muove d'improvviso come fosse tenuta a mano, zoomma verso WALL•E per continuare ad inquadrarlo mentre scappa dai carrelli e per un momento mostra un'immagine sfocata come accade quando si zoomma di scatto.
Solo che è un cartone animato digitale quindi non esiste macchina da presa, non esistono mani a tenerla nè tantomeno lenti e processi di messa a fuoco che possono avere un ritardo. Non esiste niente di tutto questo ma alla Pixar vogliono far credere al loro pubblico che invece esiste.
Con WALL•E lo studio di animazione numero uno al mondo ha deciso di esplorare il campo fino ad oggi praticamente vergine (se si esclude l'ottimo trucco della macchina a mano di Surf's up, per altro non copiato dai tecnici della Pixar che non ne conoscevano il segreto) dell'imitazione dei difetti della fotografia reale.
Per raggiungere il massimo della realtà in una storia assolutamente fantastica in cui i robot hanno sentimenti e starnutiscono come esseri umani, la Pixar ha deciso di riempire WALL•E di elementi "sporchi" che aggancino ogni elemento della messa in scena alla terra. Fotografia, suoni e animazione sono tutti comparti che per il film sono stati piegati alla volontà di alcuni dei più grandi professionisti della storia del cinema di Hollywood alla ricerca di quell'imperfezione che perfezionasse il film.

Il realismo è la forza delle immagini
Se vi sembra che i cartoni animati in computer grafica siano ripresi come se si svolgessero in un luogo irreale da una macchina da presa inesistente è perchè è così, ma se questo è sempre andato bene a tutti gli animatori (e in fondo è la vera grande innovazione dell'animazione CG: il punto di vista mobile) per WALL•E le cose dovevano essere necessariamente diverse.
La storia dell'incredibile viaggio del piccolo robot pieno di sentimenti attraversa diversi luoghi: la Terra assolata e deserta, lo spazio senza gravità e l'astronave asettica. Andrew Stanton desiderava che fosse chiaro come quello che stavamo vedendo fosse un ambiente vero e reale, fatto di terra dura o metallo freddo e per arrivare a quest'obiettivo ha deciso che il punto di inquadratura si sarebbe mosso e avrebbe reagito come una vera macchina da presa. Per arrivare a questo ha dovuto trasformarlo da semplice e innocuo punto di vista ad elemento espressivo della messa in scena, cioè parte attiva del linguaggio cinematografico come del resto accade con il cinema dal vero.
Nello spazio il punto di inquadratura fluttua lentamente, sulla Terra sembra tenuto a mano e nell'astronave è rigorosamente fermo. Ma non solo, la particolarità di WALL•E sta anche nell'aver convocato uno dei più grandi direttori della fotografia viventi, Roger Deakins, assiduo collaboratore dei fratelli Coen e sette volte candidato all'oscar (per film come L'assassinio di Jesse James, Fargo, L'uomo che non c'era, Non è un paese per vecchi o Le ali della libertà), per chiedere una consulenza.
Per questo il paesaggio terrestre ha quell'incredibile aspetto abbagliante e austero, come raramente si vede in un prodotto di animazione. Spesso si notano bagliori lenticolari, difetti di messa a fuoco, reazioni della luce che passa attraverso la polvere ecc. ecc. Tutti elementi naturali per l'occhio dello spettatore solo se non riflette sul fatto che sta guardando un prodotto creato ad arte dove anche tali effetti sono meticolosamente progettati.

Il lavoro silenzioso del più grande rumorista del mondo
Ben Burtt è un nome decisamente poco noto al grande pubblico eppure è uno di quei professionisti la cui sola evocazione fa tremare le pareti ed esalta anche i registi più affermati. Si tratta del grande mago del suono dietro a capolavori come Alien (è sua l'idea dei suoni e dei versi emessi dalla creatura), Indiana Jones (sono suoi i suoni caratteristici dei cazzotti e della frusta di Indy) e Guerre stellari (dalle porte scorrevoli, alle spade laser fino ai fischi di R2-D2).
Alla Pixar ormai non badano più a spese davanti alla prospettiva di alzare il livello qualitativo e Burtt è diventato in breve il centro nevralgico dello sviluppo e dell'animazione dei robot di WALL•E, tanto che è stato necessario modificare il flusso produttivo del cartone per appoggiarsi quanto più possibile alle sue creazioni. La voce e i suoni infatti non erano aggiunti alla fine dell'animazione come si fa di solito ma in mezzo, a Burtt arrivavano i disegni e le animazioni grezze, lui gli attribuiva i suoni e le rispediva indietro. A quel punto si completava il processo di animazione avvantaggiandosi di un elemento espressivo e fondamentale in più.
Si tratta di un vero maestro del suono, inventore di tecniche nuove ma anche grandissimo artigiano. Per esempio per realizzare la corsa dello scarafaggio ha preso un paio di manette e ha registrato il rumore che facevano mentre le smontava e rimontava o per il suono di Eve in volo ha registrato un aeroplano radiocomandato di tre metri che volava sopra le loro teste.
Lui stesso ha ammesso di aver accettato di lavorare al suo primo film d'animazione perchè costituiva una sfida inedita: "La sfida questa pellicola era di creare delle voci dei personaggi che il pubblico avrebbe considerato non umane. Tuttavia gli spettatori devono rapportarsi con loro con tutta l'intimità, l'affetto e il senso di identificazione che provano per un personaggio umano. Cioè le voci dovevano trovare uno strano equilibrio tra l'impressione che fosse una macchina ma che comunque avesse calore e intelligenza - quelle caratteristiche che io definisco anima - di un essere umano".
La cosa più complessa ovviamente è stata mettere a punto la voce di WALL•E: "Ho preso delle registrazioni originali e le ho passate al computer attraveso un programma che analizza il sonoro e lo spezzetta in tutte le sue componenti. Proprio come si prende la luce e la si fa passare attraverso un prisma per dividerla in uno spettro di colori, puoi fare lo stesso con un file audio. Una volta che hai diviso il suono in tutte le sue componenti puoi iniziare a ricostruirlo nuovamente, ma controllando i livelli di una cosa o di un'altra. Io posso inserire in un suono la caratteristica di una macchina e fare cose che delle corde vocali umane non riuscirebbero a compiere. Puoi mantenere una certa vocale più a lungo, si può cambiare l'intonazione di qualcosa o si possono accostare due suoni insieme. Nel ricostruire un suono con un programma particolare che ho sviluppato ero in grado di mantenere quello che volevo dell'interpretazione originale, ma aggiungendo un tono artificiale".

La grandezza dei robot di WALL•E è tutta nei loro limiti
Tutta la distanza che esiste tra un capolavoro dell'animazione come WALL•E e un altro cartone computerizzato che mette in scena un tema simile come Robots sta nei limiti che gli animatori della Pixar hanno capito di doversi porre. I robot per Stanton non dovevano poter fare qualsiasi cosa, non dovevano avere forma antropomorfa nè parlare come uomini. Dovevano essere macchine progettate dagli uomini per uno e un solo compito che tuttavia riescono in un modo o nell'altro a fare tutto.
Esemplare e chiaramente emblematico è il caso della creazione di WALL•E, simbolo di tutto questo approccio. Ricorda Steve Hunter, supervisore all'animazione: "All'inizio abbiamo disegnato WALL•E con i gomiti. Questo gli forniva la capacità di piegare le braccia e, come animatori, noi ci stavamo battendo per questo, pensando che se fosse stato in grado di toccare il suo volto, rimanere attaccato ad una navicella spaziale e avere una gamma di movimenti maggiore sarebbe stato meglio. Ma quando lo osservavamo non sembrava corretto. Lui era stato ideato per compiere un compito specifico: inserire spazzatura nel suo stomaco. Perchè avrebbe dovuto avere dei gomiti? Non aveva senso. Così gli abbiamo fornito degli estensori per posizionare meglio le braccia e aumentare la gamma dei movimenti e nulla più".
La motivazione profonda ed emotiva però la dà il regista Andrew Stanton: "Quando nella vita reale i personaggi non possono parlare, come capita per i neonati o gli animali, le persone tendono a trasferire le loro convinzioni emotive con frasi come 'penso che sia triste' o 'lei mi adora'".
E lo stesso è valido per l'animazione di Eve che ha ancora meno movimenti di WALL•E, cioè solo quelli relativi alle due braccia, alla testa e le variazioni negli occhi. "Gli animatori volevano sfruttare tutti i trucchi possibili come far oscillare la sua testa da un lato all'altro" ricorda il supervisore all'animazione Barillaro "Loro cercavano di mostrare azioni troppo comuni e umane, mentre noi dovevamo continuare a ricordargli di diminuire e di semplificare al massimo l'animazione".
Anche per tutti gli altri 10.000 robot usati nelle scene di massa il concetto è stato il medesimo. E per realizzarli tutti con un certo grado di differenza tra l'uno e l'altro la Pixar ha pensato di creare separatamente i pezzi che li compongono lasciando poi ad un software il compito di assemblarli in tutte le possibili combinazioni che hanno senso. Il risultato è stato la creazione di un centinaio di variazioni e 25 figure base, usate di volta in volta per dare forma ad un mondo di robot più diversi tra loro di quanto non siano gli uomini.

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