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Aldo Moro in tv: esordio di Donatella Finocchiaro nella fiction

Donatella Finocchiaro racconta la sua esperienza televisiva per Aldo Moro - Il presidente.
di Alessandra Giannelli

Un pezzo di storia italiana

giovedì 8 maggio 2008 - Incontri

Un pezzo di storia italiana
Il 9 e l'11 maggio, in occasione dei trent'anni dalla morte di Aldo Moro, Canale 5 trasmetterà, in prima serata, una fiction a lui dedicata. Interpretata, tra gli altri, da Michele Placido, nei panni dell'ex presidente della Camera, per la regia di Gianluca Maria Tavarelli. Per la prima volta, la tragica storia dello statista, rapito in via Fani la mattina del 16 marzo 1978 e ritrovato, privo di vita, il 9 maggio in via Caetani, in pieno centro di Roma, tra la sede della Dc a Piazza del Gesù e quella del Pci in via delle Botteghe Oscure, viene offerta ad un pubblico più vasto e, anche, più giovane, che in quegli anni non era, forse, neanche nato. Una messa in onda preceduta dalla mancata partecipazione, alla prima della fiction, dei familiari di Moro che, sottoscrivendo una lettera (anche a nome dei congiunti delle altre vittime di via Fani), denunciavano uno sfruttamento mediatico del loro dolore. Michele Placido, dal palco del Napoli Film Festival, ha riconosciuto, nella ricostruzione televisiva, una più fedele cronaca del tempo rispetto a quelle di Marco Bellocchio (Buongiorno, notte), di Giuseppe Ferrara (Il caso Moro) e Renzo Martinelli (Piazza delle Cinque Lune). Chissà se la maestria, nonché la fantasia, dei menzionati registi, saranno superate, ma, di fatto, tutti potranno apprendere di un pezzo di storia così tragico e beffardo negli anni, cosiddetti, di piombo. L'interesse del regista è stato anche quello di dare una visione del cambiamento della politica, tra ieri e oggi, tratteggiando con coraggio il clima di quegli anni, soprattutto per lasciare un segno nei giovani d'oggi.
Chiediamo, allora, a una delle protagoniste, Donatella Finocchiaro, quale è stato il lavoro per far conoscere al pubblico di casa la storia di Moro, che cosa ha significato, per lei, rivivere questo fatto di cronaca e come è stato il suo debutto nel mondo della fiction. Catanese di nascita, la Finocchiaro, conseguita la laurea in Giurisprudenza, si appassiona al teatro e studia recitazione. Approda al grande schermo nel 2001 nel film Angela di Roberta Torre; prosegue con successo la sua carriera interpretando altre pellicole, tra cui, nel 2003, PerdutoAmor di Franco Battiato, nel 2005 Il regista di matrimoni di Bellocchio e il più recente Il dolce e l'amaro di Andrea Porporati.

Nel realizzare questa miniserie, qual è stato l'intento del regista?
Sicuramente quello di disegnare un quadro della realtà, della storia di quel periodo, di un dramma che ci appartiene, considerato che ricorrono i trent'anni dalla vicenda e credo sia doveroso ricordarlo. Noi lo abbiamo fatto in un film, mettendo in scena questa tragedia; i politici lo faranno in un altro modo. È un dovere anche del mondo televisivo, cinematografico fare luce su una storia che riguarda tutti noi da vicino.

Qual è, secondo lei, la differenza con quanto già raccontato al cinema, come in Buongiorno, notte di Marco Bellocchio?
Il film di Bellocchio ha un finale meraviglioso di Aldo Moro che esce dal covo e cammina libero per la strada; è un finale che ci auguravamo tutti, ma che purtroppo non corrisponde alla realtà. La narrazione televisiva, invece, è più legata ai fatti, a come sono andati veramente, raccontando delle BR, del contesto politico, dei contatti che ci sono stati.

Donatella, lei nella fiction è Adriana Faranda: cosa ha provato nell'interpretare questo ruolo?
Le donne delle BR erano, per loro fortuna, le compagne dei terroristi, non avevano una funzione decisionale, ma aiutavano i loro uomini. La loro decisione non era fondamentale. C'era un comitato direttivo che decideva, prima di tutto. Le chiamavano le "donne del ciclostile": non avevano un proprio potere, come ancora faticano ad averlo, ma in quel caso ciò è andato a loro favore. Io ho conosciuto Adriana Faranda e ho visto nei suoi occhi un'enorme tristezza. Anche se sono state "solo" le "fidanzate" dei capi, non hanno giustificazioni. Loro, infatti, si sono rese complici di questi misfatti. Il mio personaggio non era raccontato nel film di Bellocchio, perché la Faranda stava fuori dal covo, era la "postina", colei che si occupava di recapitare le lettere di Moro. Lei ha vissuto tutto all'esterno. L'unica cosa, per me, a suo favore è stata che lei, insieme al suo fidanzato, il brigatista Morucci, ha dissentito dall'uccisione del presidente, quando si votò, nel comitato direttivo, per la sua uccisione. Da quel momento hanno fondato un altro ramo delle BR, dissociandosi dal delitto Moro.

Personalmente, cosa ricorda di questa vicenda?
Io non ricordo il momento, avevo appena otto anni. Ricordo poi che, negli anni, se ne è sempre parlato; ho visto quelle fotografie. Quelle immagini sono stampate nella mia memoria, come se le avessi vissute, crescendo. Non ne ho una memoria diretta.

Riguardo l'atteggiamento della famiglia Moro, qual è la sua opinione?
Io credo che era doveroso fare una proiezione privata per i parenti delle vittime, ma non è stato fatto e non ne capisco il motivo. Non ho avuto modo di parlare e di capire, anche con la produzione, cosa sia successo, ma è sicuramente una grande mancanza. È stato mettere in scena si un dramma che appartiene a tutti gli italiani, ma ci sono anche i familiari, che hanno perso il loro caro, che vivono un dolore così personale e intimo ed era, quindi, opportuno che avessero una proiezione privata senza giornalisti.

Per lei è la prima volta in televisione: perché ha scelto di fare questa esperienza?
Si, esattamente, è stata la prima volta. Credo che sia stata una scelta quasi obbligata perché, nel momento in cui ti propongono di realizzare una storia simile, così universale, è d'obbligo, per un attore, farsi carico di ricordare quei momenti drammatici. Anche se interpreto una terrorista, è stato importante dare corpo a queste persone, sebbene si siano rese colpevoli. L'importante è ricordare e far conoscere. Da un punto di vista morale, mi dissocio completamente dal mio personaggio, che è tra i "cattivi", ma lo spirito nostro, di noi attori tutti, è quello di ridare memoria ad Aldo Moro, alla sua storia, alla storia di quegli anni.

A proposito di Marco Bellocchio, lui l'ha diretta ne Il regista di matrimoni: cosa le ha insegnato questo autore?
Parliamo di un uomo che stimo e a cui sono affezionata moltissimo. Il lavoro con Marco è stato faticoso perché lui pretende moltissimo dai suoi attori. È stato anche un lavoro psicologico: ore e ore a provare prima di andare a girare, a provare i personaggi, a trovare il retrogusto di ogni battuta, il sottotesto. Il mio, quello della principessa, che viveva tra realtà e sogno in una dimensione di sospensione, era un personaggio difficile da realizzare, da far capire tutto con uno sguardo; un personaggio anche molto ambiguo, che doveva sedurre, ma anche essere concreto. Il lavoro è stato bellissimo: sia nella preparazione perché Marco ti diceva una parola e ti apriva un mondo immaginario, incredibile; sia nella realizzazione.

Una curiosità, come si è sentita ad essere sulla copertina de "Il Morandini 2007"?
Un grande onore, non me lo aspettavo! Me lo avevano accennato qualche mese prima, poi non ci ho più pensato. Un giorno ho visto il dizionario in una libreria e, guardandolo, mi sono chiesta: "Ma sono io?". Ripeto è stato un grande onore, ringrazio Morandini per questo bel regalo!

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