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Gli scrittori e il cinema: non solo Dostojevskij

Dostojevskij rappresentato in un film dà lo spunto per un panorama sugli scrittori visti dal cinema.
di Pino Farinotti

Riflessioni sul rapporto libro-film

lunedì 5 maggio 2008 - Focus

Riflessioni sul rapporto libro-film
Il rapporto libro-film è molto intenso, direi assoluto: tutti i grandi romanzi sono diventati film. Poi c'è un assunto: il libro è sempre migliore del film. Poi ci sono le eccezioni che portano a un altro assunto: qualche film "pareggia il libro" e, estendendo, si arriva a: nessun film è migliore del libro da cui è tratto. Detto questo ci sono gli scrittori. Il cinema se n'è interessato, ma con cautela. Per un film ci vuole una storia (e Dostojevskij l'aveva) , ma non sempre uno scrittore ce l'ha. Storia significa dolore, azione, avventura, amori, peccati, scandalo. Ci sono scrittori "avventurosi" come Hemingway, che faceva le guerre (Italia del '15-'18, Spagna del '37) altri "stanziali", come Salinger, che non uscì mai (e continua a non uscire da sessant'anni) dalla sua proprietà di Cornish, nel New Hampshire. Montaldo che racconta Dostojevskij è un paradigma: estrae nella narrazione ciò che è squisitamente cinematografico, i codici detti sopra. E la regola vale per tutti gli altri scrittori e se il protagonista risulta scarsamente interessante in quelle chiavi indispensabili, ebbene il cinema ci mette del suo, senza troppa fatica.

Shakespeare & Co.
Una buona base di partenza, davvero dovuta, non può non riguardare il maestro massimo della letteratura del mondo, William Shakespeare. Si sa che le sue opere sono quasi tutte rappresentate nei film, alcune sono diventate anche classici tout court del cinema, come Amleto e Enrico V, di e con Laurence Olivier. L'Amleto (1948) è l'unico film che abbia vinto nello stesso anno l'Oscar e il festival di Venezia. Della vita di William nulla è assolutamente sicuro, ci si muove a tentoni nelle sue vicende private e nelle date, e questo, paradossalmente è un vantaggio perchè lo spazio per l'invenzione, nel quale il cinema è a perfetto agio, è molto vasto. Joseph Fiennes, monoespressivo, con gli occhioni perennemente sbarrati, dà corpo e volto al poeta in Shakespeare in love. William, che sta scrivendo "Romeo e Giulietta", si innamora di un'attrice, recita se stesso, battibecca con la regina Elisabetta. Nel film, di passaggio, incrociamo un altro grande autore, Christopher Marlowe, impegnato nel suo classico "Faustus". Marlowe era un "maledetto", un omologo del nostro Caravaggio, iroso e destinato all'autodistruzione. Infatti si distrusse. Volle morire in una rissa. Lo interpreta l'inquietante Rupert Everett.
"Filmabili" furono i britannici dell'epoca vittoriana. Autori come Stevenson, Kipling, Maugham, Conrad, Forster raccontarono al mondo i sentimenti fondamentali reperiti nei loro viaggi infiniti, in quel tempo, quando la fantasia di tutti gli utenti, senza il supporto delle immagini ferme o in movimento, viaggiava quasi soltanto sui romanzi e sui racconti. L'educazione intellettuale e sentimentale di molte generazioni, comprese le nostre, viene da lì. L'attore Herbert Marshall si presta alla figura elegante di Somerset Maugham nel film Il filo del rasoio. Lo scrittore scrisse il romanzo nel '44 e lo consegnò al cinema nel '46. È la storia dell'americano Larry Darrell , giovane di Chicago, insoddisfatto dei valori e dello sterile benessere di quella società, siamo negli anni venti, che decide di abbandonare tutto e tutti e di cercare se stesso. Comincia a Parigi e finisce in India. Fu proprio Maugham (con Tyrone Power) ad aprire quella porta, a suggerire quella cultura lontana, che sarebbe diventata moda.

Oscar Wilde, il più esplorato dal cinema
Un irlandese decisamente cinematografico, di quella stessa epoca è Oscar Wilde. Le "tessere" ci sono tutte. Trasgressivo, imprevedibile, incontrollabile, bizzarro. Bisex. Prevalenza etero in gioventù, decisamente omo in maturità. Manna per il cinema. Wilde era il principe dei salotti londinesi e parigini, invitato dovunque, anche in America. Si sposò riluttante, ebbe due figli, il matrimonio (naturalmente) naufragò. Wilde, in nome di una sua massima conosciuta "l'unico modo per vincere una tentazione è cedere ad essa", cedette alla tentazione di un bellissimo giovane, lord Alfred Douglas, figlio del marchese di Queensberry, vicino alla regina Vittoria. Il codice morale di Vittoria era rigido. Non c'era da scherzare, soprattutto se facevi parte della sua corte. Così il marchese dovette denunciare lo scrittore e il processo divenne il fatto del giorno, poi del mese, poi dell'anno e poi dell'epoca. Wilde fu condannato per omosessualità. Manna per il cinema, appunto. Così nel 1960 vennero prodotti due film sull'argomento, Il garofano verde e Ancora una domanda, Oscar Wilde. Nel primo Wilde era l'attore Peter Finch, intenso e ultradolente, naturalmente. Nel secondo il protagonista era Alexander Knox, dignitoso professionista senza l'appeal di Finch. Il racconto del processo non poteva che togliere gli altri spazi, non si parla mai di letteratura. Comunque il cinema recepì i temi di Wilde, rappresentando la sua "Salomè" ben tre volte, e due volte il suo capolavoro "Il ritratto di Dorian Gray". Ma la proposta più efficace della vita dello scrittore è Wilde, del '97, con Stephen Fry, identico, nel corpo e nel volto, al modello originale. Il regista Gilbert poté raccontare tutto, senza "censure". Ecco dunque scene di sesso omo molto realistiche, con l'efebico e febbrile Jude Law nella parte di lord Alfred. Oscar Wilde è lo scrittore più esplorato dal cinema, nel privato.

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