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L'ultima missione: la redenzione di un poliziotto abbandonato al dolore

Il film di Marchal chiude la trilogia (poliziesca) sulla solitudine, la disperazione e l'erranza.
di Tirza Bonifazi Tognazzi

Poliziotti disperati

giovedì 17 aprile 2008 - Incontri

Poliziotti disperati
È una maschera di dolore quella che Daniel Auteuil indossa con la sua notevole maestria trovando una chiave di identificazione con Louis Schneider, poliziotto della Squadra Omicidi di Marsiglia, annientato dal crudele destino e abbandonato dai superiori in un limbo di solitudine. "Mi ha travolto una valanga, e la mia anima fu sepolta. Quando non ero lo straccio d'uomo che vedi ora, dormivo presso una collina d'oro" canta Leonard Cohen nella scena iniziale che ci presenta Louis e ci mostra la sua disperazione. "Quand'ero su un piedistallo, non mi ci hai mica messo tu, le tue leggi non mi piegheranno mai a servili e grotteschi inchini" continua la profonda voce del poeta e cantautore, definendo in maniera straordinaria il rapporto con le autorità del protagonista del polar di Olivier Marchal, che chiude la trilogia sulla solitudine, la disperazione e la perdita dei propri riferimenti. L'ultima missione è un film estremo, drammaticamente drammatico, che approfondisce ancora di più la riflessione del regista francese (ex poliziotto e attore) iniziata nel 2002 con Gangsters, la sua opera prima, e proseguita due anni dopo con 36. Abbiamo incontrato Olivier Marchal che ci ha confidato quanto fosse necessario fare questo film e affrontare il dolore in maniera così netta.

Un dramma da raccontare
Il film è ispirato a un fatto di cronaca avvenuto in Francia nel 1982. All'epoca ero un giovane poliziotto e questo particolare evento ha distrutto una parte dei miei sogni, mi ha cambiato profondamente e mi ha spinto ad abbandonare le forze dell'ordine. Quel duplice omicidio così crudele ha segnato molti dei poliziotti che lavoravano al caso - ho visto colleghi piangere per la prima volta - e ci ha fatto capire che l'orrore vero poteva esistere e colpire una famiglia normale. In quegli anni molti di noi si sono sentiti abbandonati dalle alte gerarchie e alcuni hanno risposto a questa grande solitudine dandosi all'alcol o suicidandosi. Sono più di trent'anni che mi porto questo dramma dentro e ho sempre voluto raccontarlo. Quando, dopo moltissimo tempo, ho incontrato la figlia della coppia assassinata - che aveva assistito all'omicidio dei genitori e che ormai era diventata una giovane donna - ho sentito ancora più forte la necessità di tramutare questa storia, intrecciata ad altri fatti realmente accaduti, in un film. Per me il lavoro è l'unica maniera per andare avanti nella vita, l'unica cosa che mi permette di farcela. Il cinema è il mezzo che mi serve per restare a galla.

Un omaggio alle vittime
Con L'ultima missione ho voluto rendere un omaggio alle vittime di quelle atrocità. In Francia c'è la tendenza di parlare di chi il male lo fa, io ho voluto allontanarmi da questa direzione per parlare del dolore delle vittime. Dal momento in cui ho cominciato a scrivere la sceneggiatura è stato tutto un azzardo perché desideravo restare fedele al contesto e non tradire la memoria delle persone che evocavo. Nel mio paese succede spesso che assassini considerati pericolosi per la società vengono messi in libertà nonostante i crimini commessi. Il mio film affronta anche questo problema e spero in qualche modo di aver reso giustizia alle famiglie delle vittime. Oltre alla trama poliziesca, desideravo raccontare una storia che parlasse di redenzione e oblio quali condizioni della nostra esistenza. E, infine, con la mia trilogia ho desiderato rendere omaggio ai poliziotti che ho conosciuto, poliziotti abbandonati dai loro stessi colleghi, traditi dai poteri superiori e logorati da un mestiere che mettono sempre prima di ogni altra cosa. Questo è il mio background, questa la mia visione del mondo. Il mio passato da poliziotto mi impedisce di vivere una vita normale. Fare questo tipo di film è la mia maniera di liberarmi dei ricordi dolorosi.

Il rapporto con Daniel Auteuil
Ho scritto la parte di Louis Schneider basandomi sulla mia propria esperienza ma sapevo già che il ruolo sarebbe stato di Daniel Auteuil e ho creato il personaggio pensando a lui. È l'unico in Francia in grado di interpretare qualunque ruolo e in più è una persona umile, disponibile, gentile ed è un grande lavoratore. È un attore prodigioso, ha un qualcosa dell'anti-eroe ed era perfetto per Schneider. Per dodici settimane Daniel si è calato nel personaggio senza cedere neanche per un istante. Ha un approccio intellettuale alla recitazione, ha bisogno di conoscere a fondo le cose. Per questo film ha voluto incontrare non solo poliziotti per confrontarsi con loro, ma anche un medico specializzato nel trattamento degli alcolizzati per capire se il comportamento di Schneider fosse plausibile. Mi fido totalmente di Daniel al punto che tra noi c'è una fusione. Si può dire che la nostra sia una storia d'amore, con 36 abbiamo superato la fase dei preliminari...

Leonard Cohen e le Volvo
Non sapevo che Leonard Cohen avesse detto che le sue canzoni sono come le Volvo, durano trent'anni. In realtà la canzone che abbiamo utilizzato nella scena dell'autobus è un regalo dell'addetta al montaggio. Avevamo avuto solo tre notti a disposizione per girare la scena del dirottamento del bus e quando l'abbiamo montata abbiamo voluto vedere da subito quale canzone potesse aderire alla sequenza. È stata lei a proporre "Avalanche" e quando l'abbiamo ascoltata unita alle immagini siamo rimasti tutti incantati dalla scelta. Ci siamo subito posti il problema dei diritti e ho anche provato a chiedere a Bruno Coulais, il compositore delle musiche originali, di creare qualcosa che evocasse quel brano, ma niente poteva sostituirlo. Abbiamo anche provato a mantenere la scena senza la canzone, ma abbiamo immediatamente capito che quel pezzo seguiva la sofferenza di Daniel e così l'abbiamo tenuto. La scelta di far guidare a Louis una vecchia Volvo Amazon, invece, è stato un mio capriccio. Mi è sempre piaciuto strizzare l'occhio a macchine che non esistono più, ma in Francia non ci sono automobili "cinematografiche". In Italia forse ci sono ancora le Alfa Romeo ma noi abbiamo le Citroën e le Peugeot e non si adattavano al contesto. In più c'è anche un legame sentimentale tra l'Amazon e Louis, perché l'incidente che coinvolge la moglie e la figlia avviene a bordo di quell'auto e lui in qualche modo continua a prendersene cura.

La rinascita del noir
Non so se si può parlare di una vera e propria rinascita del genere. Sicuramente 36 ha aperto la strada a una serie di film noir. Tuttavia molti di questi sono risultati mediocri e sono stati degli insuccessi in termini di realizzazione e di accoglienza al botteghino. Credo che dopo 36 ci sia stata una tendenza a tirare fuori dal cassetto vecchie sceneggiature impolverate solo per cavalcare il momento positivo e questo si è visto dai risultati negativi. In pratica dobbiamo ricominciare da capo perché il pubblico francese non ha voglia di andare al cinema e vedere tanta violenza, preferisce le sciocche commedie e, siccome è l'America che tuttora ha il predominio sul genere, è difficile trovare lo spazio. In Italia forse è più facile fare un certo tipo di cinema, io personalmente ho apprezzato molto A casa nostra e Le conseguenze dell'amore, mi avevano persino chiesto di fare un remake del film di Paolo Sorrentino, ma non me la sono sentita. Il noir è comunque un genere che amo da sempre. Volevo fare il poliziotto sin da bambino e leggevo tanta letteratura gialla, amavo Chandler, Hammet. Per quanto riguarda il cinema stimo e ammiro molto Jacques Audiard, anche se molto diverso da me, e poi ovviamente Melville, Lumet, Cimino.

Prossimi progetti
Quando finisco di girare un film mi prendo sempre un periodo di riflessione. Al momento ho diversi soggetti che sto prendendo in considerazione. Uno di questi è una commedia sul rugby, ambientata in una piccola cittadina francese, che affronta il rapporto padre/figlio. Un altro è la storia di due solitudini: un ex poliziotto e la bambina alla quale fa da guardia del corpo. L'idea è nata dall'incontro con un autista che per un periodo mi ha seguito a presentazioni e anteprime. Parlandoci gli ho chiesto se non fosse noioso portare in giro star viziate e lui mi ha confidato che lo è, ma che il suo mestiere riserva anche molte sorprese. Due volte a settimana accompagna una bambina di otto anni, che ha visto la madre buttarsi dalla finestra, dallo psichiatra. Il padre è un uomo facoltoso che lavora dall'altra parte del mondo e lui è diventato una sorta di figura paterna per lei. Se lo realizzerò sarà un film noir pieno di sentimento. Alla fine comunque è sempre mia moglie (l'attrice Catherine Marchal, NdR) ad avere l'ultima parola. È lei che decide.

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