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Lumet, eroe di giustizia

Onora il padre e la madre ci ricorda la differenza tra bene e male.
di Pino Farinotti

Un film dove si fa giustizia
Sidney Lumet 25 giugno 1924, Filadelfia (Pennsylvania - USA) - 9 Aprile 2011, New York City (New York - USA). Regista del film Onora il padre e la madre.

lunedì 7 aprile 2008 - Approfondimenti

Un film dove si fa giustizia
Onora il padre e la madre è, a parer mio, il miglior film in circolazione. Non il più "visibile", non ci sono le implicazioni e le suggestioni che possono appartenere a titoli come Il cacciatore di aquiloni e Juno, tuttavia rappresenta un promemoria molto importante. È un film dove si fa giustizia. Un padre, impersonato da Albert Finney, uccide, soffocandolo con un cuscino in sala rianimazione, il figlio assassino, cui dà corpo e volto Philip Seymour Hoffman. È un richiamo estremo, in un momento in cui la giustizia viene distorta o addirittura nascosta, in nome di nuovi codici e nuove etiche. Si chiama relativismo. Faccio un nome, che non è del cinema -ma il cinema ha fatto di peggio - Cesare Battisti, il terrorista italiano (quattro omicidi) acquisito e coccolato dai francesi (e anche da una forte corrente italiana) diventato scrittore di successo, e solo dopo molti anni, finalmente arrestato. Lumet ci ricorda che la differenza fra giusto e ingiusto, fra bene e male, c'è. Soprattutto ci ricorda che anche l'eroe, magari estremo, se non c'è, va ritrovato. Il padre giustiziere, evoca giustizia antica, biblica. E non era da tutti assumere una responsabilità del genere, forse appartiene al solo Sidney Lumet che, nel tempo, si è legittimato in quel senso.

Eroe dei diritti civili e umani
I segnali di predestinazione furono precoci: col suo primo film La parola ai giurati (1957) il trentatreenne regista firmò semplicemente il più grande film processuale della storia del cinema. Il giurato Henry Fonda convince a uno a uno gli altri undici che un ragazzo non è colpevole se non c'è sicurezza totale. Dichiara il principio del ragionevole dubbio, pronunciamento garantista assoluto. Meglio un forse-assassino libero che un forse-colpevole in prigione.
Lumet è un uomo colto, le sue radici affondano nella cultura newyorkese degli anni cinquanta, uno slancio di idee e di prese di coscienza che avrebbero cambiato il mondo del dopoguerra. Diritti civili e diritti umani: Lumet, rispetto al cinema sarà uno degli eroi in quel senso. Rappresenta le contraddizioni e i compromessi devastanti della politica in A prova di errore (1963); l'odio razziale ne L'uomo del banco dei pegni (1965). Ma il suo grande tema, la sua costante umana e artistica riemerge con Serpico (1973), la storia del poliziotto che rifiuta la corruzione pagando di persona. Dunque, Serpico-Pacino, eroe giusto e onesto. Lo stesso tema riproposto otto anni dopo con Il principe della città. Ne Il verdetto (1982) Paul Newman è un avvocato di Filadelfia che rifiuta una transazione che lo farebbe ricco pur di difendere una madre ridotta in coma vegetale dai baroni di una clinica protetta dalla chiesa. Nella sua arringa finale l'avvocato fa leva sul senso di giustizia insito ancestralmente in ciascun essere umano, e vince la causa. Chi vede il film esce dalla sala rassicurato e liberato, con un'apertura di fiducia verso gli esseri umani. Accade quasi sempre con le opere di Sidney Lumet.

Un giustiziere dietro la macchina da presa
Onora il padre e la madre è un film dinamico del tutto attuale anche nella confezione. L'ottantaquattrenne Lumet si è adeguato a questo tempo. In questa chiave il film si apre con una scena di sesso (volutamente) sgradevole. Davvero non gli sarebbe appartenuta qualche anno fa. L'avrebbe giudicata un compromesso superfluo. Un autore come lui non ne avrebbe avuto bisogno. Probabilmente i produttori gliel'hanno imposta. Ma il film non ne risente, e qualche biglietto in più è certamente stato staccato al botteghino.
Dunque da La parola ai giurati a Onora il padre e la madre. Se allora Lumet sentiva di dichiararsi garantista e adesso, dopo oltre mezzo secolo, giustiziere, è bene dargli credito, perché lui, appunto, se ne intende.

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