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Interview, quarta regia dell'indie Buscemi

Buscemi racconta il suo remake del film del regista olandese Theo Van Gogh.
di Marzia Gandolfi

Remake d'autore

venerdì 28 marzo 2008 - Incontri

Remake d'autore
Theo van Gogh, il regista olandese assassinato quattro anni fa da un fondamentalista religioso, aveva un sogno: sbarcare in America e realizzare il remake di tre dei suoi film in lingua inglese e con attori internazionali. Per celebrare la sua memoria e il suo lavoro, i produttori Bruce Weiss e Gijs van de Westelaken hanno avverato e messo in pratica quell'aspirazione, "reclutando" tre registi e attori americani, Steve Buscemi, Stanley Tucci e Bob Balaban. Il primo film di questo progetto a debuttare sullo schermo è l'Interview di Steve Buscemi, regista e interprete accanto a Sienna Miller. In un loft di New York si svolge l'appassionato confronto tra un giornalista fintamente svagato e una capricciosa star di una popolare soap opera. Interview, pur dichiarando un impianto teatrale, cerca una sua autonomia rappresentativa sulla scena del loft. Buscemi e la Miller, sapienti attori, non fanno altro che parlare esasperatamente per tutto il tempo, perché parlare è l'unico modo in cui possono agire, confidandosi e svelandosi. A Roma per presentare il suo film, Steve Buscemi racconta in una "intervista" la sua intervista e la difficoltà dei suoi personaggi ad avere fra loro rapporti che non siano regolati dall'inganno e dall'istinto di sopraffazione.

Una passione infiammabile
Sono stato vigile del fuoco dal 1980 al 1984, all'epoca stavo cercando di fare anche del teatro nel Lower East Side di New York. Lavoravo come pompiere e contemporaneamente cercavo di scrivere e di recitare col mio socio Mark Boone. Io a Mark interpretavamo, ovunque ci venisse concesso, quelle che potrei definire come delle brevi e piccole pièce teatrali, le portavamo nelle cantine delle chiese, negli auditorium delle scuole, trasformati per l'occasione in palcoscenici per la performance, o in vari club. Negli anni Ottanta a New York, soprattutto nell'Est Village, c'era un grande fermento culturale, si faceva teatro, arte, musica, cinema e proprio lì cominciavano la loro carriera personaggi come Jim Jarmusch o Tom DiCillo. Sono stato scelto per interpretare i loro film proprio perché loro ebbero l'occasione di vedermi recitare nelle cose che auto-realizzavamo.

Il giornalista e la star
Girando questo film non era mia intenzione essere critico nei confronti dei media, quello che mi interessava era impersonare questo personaggio, questo giornalista, cercare di capire e vedere chi fosse e che cosa facesse per guadagnarsi da vivere. Dall'altra parte non volevo nemmeno esprimere un giudizio sul mondo delle star e delle celebrità anche se, ovviamente alla fine, il film un commento in questo senso lo fa. Quello che invece maggiormente mi premeva era il rapporto che si instaura molto rapidamente fra queste due persone, un rapporto che inizia in una maniera disastrosa come spesso accade nella vita in alcuni relazioni, partite male e poi trasformate in qualcosa di profondo. Il giornalista e la star, l'uomo e la donna, condividono quelle che sono le esperienze di una vita intera nel giro di poche ore, ovviamente si tratta di un rapporto disfunzionale, dove c'è in un certo senso una dipendenza reciproca. I due protagonisti provano un senso di repulsione e allo stesso tempo mantengono questo forte legame, ed era proprio questa relazione che mi interessava esplorare.

Il regista sull'attore e l'attore sul regista
Il mio modo di approcciare la regia passa attraverso la recitazione ed è esattamente questo aspetto che mi ha spinto a realizzare Interview. Non ho conosciuto Theo van Gogh ma le persone che hanno collaborato con lui mi hanno raccontato che Theo amava molto gli attori e aveva con loro un rapporto speciale, per questa ragione i suoi produttori hanno cercato dei registi-attori per rifare i suoi film. Io capisco e sento quello che provano gli attori quando recitano, l'attore vuole avere la sensazione di stare dando un contributo al film e di non essere qualcuno a cui viene detto semplicemente cosa fare. Quello che un attore cerca con un regista è esattamente questa possibilità. Mi auguro e spero che Sienna Miller abbia provato questa sensazione, che si sia sentita a suo agio con me, che abbia avuto fiducia nei miei confronti, dando il meglio di sé nel mio film. I dieci giorni di prova che hanno preceduto la realizzazione di Interview sono stati utili e importanti perché molte delle domande e molti dei dubbi hanno trovato una risposta. Ci sono moltissimi bravi attori-registi ma è pur vero che esistono anche tanti egregi registi che non hanno mai fatto gli attori e sono ugualmente capaci di capire quali sono i loro bisogni e le loro esigenze, penso ai fratelli Coen o a Jim Jarmusch.

Girare in sequenza
Ho trovato molto interessante il modo in cui Theo van Gogh realizzava i suoi film, usando tre macchine da presa e girando di fatto il film in sequenza. Il cinema tradizionale funziona diversamente, è più frequente che le scene vengano girate fuori sequenza a seconda della disponibilità delle location. Una delle cose che più mi entusiasmava di questo progetto era l'occasione di poter lavorare con la troupe di Theo, perché questo mi consentiva di imparare qualcosa di nuovo. Una delle cose che ho appreso è che a Theo piaceva molto realizzare subito i primi piani, il che tendenzialmente getta l'attore in una condizione di squilibrio, perché non è ancora pronto, perché non è ancora preparato. Negli Stati Uniti si comincia naturalmente dall'inquadratura larga, poi si va sul piano medio e poi si finisce col fare il primo piano. Questo modo di procedere consente all'attore di abituarsi ma questo ovviamente a discapito della spontaneità. Con queste tre camere tutto veniva filmato, tutto coperto, niente rimaneva fuori. Questa cosa, dal mio punto di vista, era estremamente liberatoria perché ci permetteva di improvvisare. Questo modo di procedere rende il film molto simile a una pièce teatrale, anche se non era nelle mie intenzioni realizzarlo così.

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