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Tutta la vita davanti: l'odissea del precariato

Una commedia corale (amara) per raccontare l'Italia di oggi.
di Tirza Bonifazi Tognazzi

Il lavoro come mezzo per definirci come individui

martedì 25 marzo 2008 - Incontri

Il lavoro come mezzo per definirci come individui
È Valerio Mastandrea a suggerire come il lavoro sia non solo necessario al sostentamento di una persona ma anche a definirla come individuo. "Senza lavoro" ha dichiarato l'attore nella conferenza stampa che si è tenuta questa mattina a Roma, "non possiamo investire su noi stessi e sul nostro futuro e di conseguenza non possiamo essere completi come individui". È un tema attuale, quello del precariato, che riguarda la maggior parte dei ragazzi di oggi, che siano laureati o meno. Paolo Virzì, che non si è mai tirato indietro di fronte all'argomento, posa il suo sguardo su una realtà comune a molti per raccontare l'Italia di oggi, quella dei call center, dei reality e dei neolaureati che si trovano costretti a espatriare per ottenere delle garanzie sul proprio futuro. "Abbiamo volutamente tracciato un parallelo con i reality show perché in qualche modo indicano l'orientamento del nostro paese" ha rivelato Francesco Bruni (co-sceneggiatore di Tutta la vita davanti insieme allo stesso Virzì). "Non vogliamo dire che non esiste più la solidarietà, perché c'è anche nei reality, ma di fronte alla nomination o all'eliminazione la logica del gioco è mors tua vita mea, una regola che ormai vige anche nella vita reale".

Il mondo deve sapere
Paolo Virzì: Sono molto orgoglioso di questo film perché ci abbiamo messo dentro uno spirito di curiosità, avventuroso e beffardo e anche di pietà nei confronti dell'Italia che stiamo vivendo. Per questo abbiamo lasciato che lo sguardo fosse di una ragazza colta, senza pregiudizi, che non conosce la società della sottoccupazione, perché per anni è stata chiusa in biblioteca a studiare Heidegger e Hannah Arendt, finché non ci si ritrova suo malgrado. Il suo è un viaggio alla scoperta dell'Italia di oggi. Ci siamo documentati facendo delle osservazioni sul campo, dai tanti casi di ragazzi condannati alla fuga all'estero all'odissea del precariato. Tutto è partito dal blog di Michela Murgia, una ragazza sarda che aveva raccolto una sorta di diario sulla sua esperienza all'interno di un'azienda simile per molti versi a quella descritta nel nostro film. Il suo reportage è divenuto un libro, "Il mondo deve sapere", che ci ha offerto lo spunto dal quale partire. Nonostante il tema che affronta, Tutta la vita davanti non è un film lagnoso, io odio l'autocommiserazione. Credo piuttosto che lo spirito dei subalterni sia di allegra riscossa.

Un personaggio scomodo
Sabrina Ferilli: Non credo si possa parlare di coraggio nel caso della scelta che ho fatto, ovvero di vestire gli abiti un po' scomodi di Daniela. Il coraggio viene innanzitutto dalla fiducia che ho in Paolo. Inoltre il mio personaggio era scritto davvero bene ed è uno dei motivi principali che mi spingono a scegliere un ruolo piuttosto che un altro. Quando ho letto il copione ho avuto l'impressione di leggere un libro, mi è sembrata una bella pagina di letteratura. Sapevo anche che i personaggi di Paolo non sono mai totalmente cattivi. È vero, per me si tratta di un ruolo nuovo che segna un'inversione di tendenza assoluta essendo l'antitesi esatta dei caratteri che ho interpretato finora. E se sono stata lontana dal cinema è perché non ho più trovato ruoli belli - i ruoli belli sono spesso finiti ad altre attrici brave. In televisione invece ho una certa autonomia...

Anche i cattivi piangono
Paolo Virzì: È vero, in Tutta la vita davanti anche i cattivi sono delle vittime. Non è un caso che abbia fatto laureare Marta, la protagonista, sul pensiero arendtiano. Quando la Arendt - dopo essersi prodigata per aiutare gli esuli ebrei della Germania nazista - assiste al processo del gerarca nazista Eichmann, e se lo trova di fronte, vede un uomo che aveva condotto il campo di concentramento di Auschwitz con la stessa pignoleria di un rivenditore d'auto. Vede un ragioniere e prova compassione per lui. La stessa che prova Marta nei confronti dei suoi superiori e dei suoi colleghi. Il suo non è uno spirito di condanna. I personaggi interpretati da Sabrina Ferilli e Massimo Ghini sono due disgraziati, due patetici, che non riescono ad assurgere al ruolo di veri cattivi.

Una commedia (corale) amara
Massimo Ghini: Si tratta di una storia amarissima perché è quella che purtroppo vivono molti giovani (e meno giovani) di oggi. Ognuno di noi aveva la responsabilità di rendere reale il proprio personaggio cercando di costruirlo per quello che serviva nel rapporto con gli altri. Il mio mi è piaciuto immediatamente perché è un altro di quei "meravigliosi stronzi" che Paolo riesce a offrirmi. Nel film c'è anche una lucida e critica osservazione nei confronti del sindacalismo, un ambiente nel quale sarebbero necessari un po' di autoanalisi e cambiamento, e lo dico da sindacalista.

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