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Le sante parole di San Precario

Intervista esclusiva ad Ascanio Celestini.
di Pierpaolo Simone

Un documentario politico

giovedì 31 gennaio 2008 - Incontri

Un documentario politico
Un documentario di appena settantacinque minuti, parole sante – per l'appunto – che valgono più di un trattato sindacale. Ascanio Celestini, artista romano al suo secondo documentario, racconta la sua visione del precariato, portando allo scoperto la condizione di migliaia di giovani costretti a lavori sottopagati e temporanei coi quali si eludono molto spesso i più elementari diritti civili. Prodotto e distribuito dalla Fandango di Domenico Procacci, Parole sante esce nelle sale italiane il 1° febbraio.

Qual è il ruolo di un artista davanti a tanta desolante incertezza e com'è nata l'idea di questo documentario?
L'artista ricopre un ruolo che da sempre è un ruolo politico, nel senso etimologico del termine. Fare politica significa porre l'attenzione su temi importanti come quello del lavoro o del precariato.
Da un paio d'anni seguo la vicenda di questo gruppo di giovani che lavora in un call center di un palazzone di Cinecittà. Un gruppo che si è auto-organizzato in un collettivo e che è andato avanti da solo per rivendicare i propri diritti. In questi posti la presenza delle istituzioni e dei sindacati è piuttosto sporadica. Lavoratori di questo tipo non hanno neanche la possibilità di eleggere il proprio rappresentante sindacale e, nel migliore dei casi il rappresentante, più che i lavoratori, tutela il sindacato. Qui, invece, i lavoratori si sono presi carico direttamente della condizione che stavano vivendo.

Lavorando a stretto contatto con questi giovani hai trovato che si provi una certa vergogna a raccontare la propria condizione?
Oggi molto meno. Fino a qualche anno fa questo era un lavoro considerato di ripiego, temporaneo, in attesa del lavoro vero. Poi ci siamo resi conto che invece il lavoro vero non c'è, o almeno non c'è per tutti e allora anche per i lavoratori dei call center questo è diventato un vero e proprio lavoro.
L'importante, oggi, è che si riconquistino dei diritti che in teoria dovrebbero già essere stati acquisiti qualche decennio fa. La precarietà è una condizione che vive l'individuo, mentre il lavoro più che precario, a volte è del tutto illegale.

Dov'è lo Stato in tutto questo?
Lo Stato non c'è, ha abbandonato la piazza da almeno trent'anni. C'è stato un graduale abbandono della coscienza dei diritti che ha portato alla nostra situazione attuale. C'è stata la Fiat, una delle più grosse sconfitte sindacali degli anni '80, c'è stata un'istituzione – quella sindacale – che ha troppo spesso avallato leggi vergognose che calpestavano i diritti dei lavoratori.

Cosa dovrebbero fare, allora, le istituzioni?
Il lavoratore a progetto di oggi molto spesso lavora come un vero e proprio lavoratore subordinato, senza avere quei diritti - malattie, tredicesima mensilità, etc. - che dovrebbero essergli riconosciuti. Lo Stato dovrebbe innanzitutto far rispettare le leggi, sarebbe già un bel passo avanti. Anche questo governo ha ribadito più volte lo stesso concetto: stiamo creando un mercato del lavoro che, lo ripeto, è illegale a tempo indeterminato.

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