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Will Smith, da mito a leggenda

Will Smith, leggenda anche di incassi ai botteghini, racconta la sua ultima avventura.
di Claudia Resta

Il film

mercoledì 9 gennaio 2008 - Incontri

Il film
Robert Neville (Will Smith) è uno scienziato brillante, che tuttavia non è stato in grado di fermare un terribile virus, creato dagli uomini. È però immune, in qualche modo, e si ritrova a essere l'ultimo sopravvissuto a New York City e, forse, nel mondo. Per tre anni, Neville ha mandato ogni giorno messaggi radio, alla disperata ricerca di altri sopravvissuti, senza ricevere risposta. Ma non è realmente solo: le vittime del virus sono mutate e si nascondono nelle ombre, osservando ogni sua mossa e attendendo un errore fatale. Resosi conto di essere l'ultima speranza dell'umanità, Neville decide di ricercare un modo per rendere reversibili gli effetti della mutazione, usando il proprio sangue. Il tempo è poco e i nemici, forse, sono troppi...

Essere l'unico protagonista
Incalzato dal successo, Smith ammette di aver avuto un po' di paura nell'approcciarsi a una sceneggiatura in cui, per larga parte del film, è l'unico protagonista sulla scena, insieme a un cane: "Ho pensato che per quanto io potessi piacere al pubblico, forse 80 pagine di scene in cui c'ero solo io potessero essere troppe, anche per i fan più accaniti". Ciò nonostante, ha accettato la sfida, e si è preparato meticolosamente, insieme ad Akiva Goldsman e Mark Protosevich, per comprendere fino in fondo cosa significhi l'isolamento e come avrebbe potuto rendere al meglio le emozioni di Robert Neville. "Mi ha affascinato molto l'idea della separazione dal resto del mondo, dell'essere soli, senza una famiglia, nell'oscurità: sono paure primordiali che appartengono a tutti, sotto sotto".

Studiare l'isolamento
Ho lavorato molto" spiega l'attore "con un ragazzo che è stato in cella di isolamento per lungo periodo, in carcere. Mi ha raccontato di come nel tempo avesse iniziato a dimenticare i nomi anche delle cose più comuni e mi ha spiegato che l'unico modo per rimanere sani di mente in quella situazione così aliena in cui hai solo te stesso è darti dei tempi fissi, una sorta di tabella oraria, e questo concetto è divenuto la base portante del mio personaggio". Su questa idea, inoltre, si basa il monologo interiore di Neville, nel quale domande e risposte sono date dall'io interiore. Inoltre, ammette di aver letto il romanzo e di essersi ispirato anche alle precedenti versioni del film e della serie. "In generale, mi affascinava l'idea di riportare in vita la storia, dotandola del livello di tecnologia che avrebbe dovuto avere anche in passato, quando tuttavia non era disponibile".

Mia figlia sul set
La bambina che Neville salva a New York non è una bimba qualsiasi, ma sua figlia Willow. Will sostiene che non si lavora "con lei", ma "per lei", e ammette: "Jada (Pinkett-Smith, NdR) e io ci chiediamo spesso se è sufficiente che due attori vadano in Messico, bevano tequila e facciano un bambino per creare un attore bambino! Per Willow la recitazione è assolutamente istintiva, come se ci fosse nata dentro. Forse, invece, il motivo è che ci è cresciuta dentro: dopotutto, in casa tra noi si provano spesso le parti... Quando la guardo penso che è un'attrice nata, come se glielo avessimo trasferito nel sangue, in qualche modo, e si diverte tantissimo!".

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