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Ai confini del paradiso: la morte secondo Fatih Akin

Dopo La sposa turca il regista mette in scena il secondo capitolo della trilogia sull'amore, la morte e il male.
di Tirza Bonifazi Tognazzi

Il film

mercoledì 7 novembre 2007 - Incontri

Il film
Nejat è un giovane professore di origini turche che decide di lasciare la Germania, dove vive, per andare in Turchia alla ricerca di Ayten, la figlia di un'amica morta accidentalmente. Nel frattempo però la ragazza, una militante politica, è fuggita in Germania per evitare la galera. Le vite di Nejat e Ayten verranno intrecciate dalla conoscenza di Lotte, da prima amante in terra tedesca della ragazza e in seguito co-inquilina in terra turca del giovane docente. Presentato in concorso a Cannes, il secondo capitolo della trilogia sull'amore (La sposa turca), la morte (Ai confini del paradiso) e il male (in fase embrionale) mette in scena prostituzione, integralismo islamico, guerriglia curda e omosessualità femminile senza velleità didattiche. Ne abbiamo parlato con il regista Fatih Akin.

Una nuova prospettiva
Ci sono molte questioni che nel film vengono solamente sfiorate. A differenza del passato ho scelto di assumere la posizione dell'osservatore e per questo motivo ho collocato la macchina da presa a una certa distanza, una cosa che non avevo mai fatto prima. Non ho neanche mai preso così tanto le distanze da certe problematiche ma sono stato spinto da tre motivi diversi. Primo perché gli argomenti erano troppi, secondo perché non volevo costringere lo spettatore a pensare in una determinata maniera ma volevo che si facesse la propria opinione e terzo, non volevo che nessun movimento politico, né di destra né di sinistra, potesse strumentalizzare il film per i propri fini. Qualunque sia la mia posizione sulle problematiche della Turchia è evidente in Ai confini del paradiso. La gente paragona spesso il mio lavoro a Yilmaz Güney, ma io non sono d'accordo. Lui era molto didattico, quello che pensava lo metteva nei suoi film con il proposito di portare il pubblico a pensare nella sua stessa maniera. Ai confini del paradiso è un film filosofico, non politico.

L'importanza del dialogo e della musica
Fatih Akin: Credo che il principale argomento del film sia il dialogo, o meglio, la comunicazione. Tutti nel mondo parlano di comunicazione ma nessuno comunica davvero. Io invece agli interpreti di Ai confini del paradiso faccio addirittura parlare in tre lingue diverse. Ho voluto fare luce sulla comunicazione nel mondo globalizzato perché era necessario parlarne. Come artista ho avuto la possibilità di rappresentare il mondo come lo vorrei. Quanto alla musica, rispetto a La sposa turca e Crossing the Bridge ho cercato di usarne meno e di essere invece più visivo. Per questo prima di iniziare le riprese ho guardato molti film muti. La verità è che è molto facile suscitare le emozioni attraverso la musica e così ho provato a utilizzarla solo per dare spazio allo spettatore in modo che potesse riflettere e non per commentare qualche momento particolare del film. Ho però voluto inserire un brano di Kâzim Koyuncu, un cantautore turco scomparso due anni fa. Avevo già pensato di utilizzare la sua musica in Crossing the Bridge ma alla fine non l'ho fatto e quando è morto mi sono sentito in colpa e così ho voluto rendergli omaggio in questo modo.

Il potere del cinema
Fatih Akin: Il cinema ha cambiato la mia vita. Quando ero un ragazzino e andavo a scuola le bambine che avevano visto Top Gun erano tutte innamorate di Tom Cruise e io e miei compagni volevamo essere come lui. Poi a sedici anni ho scoperto che il film era stato finanziato dal Pentagono per promuovere la marina militare, come in seguito è accaduto con Armageddon. In pratica il Pentagono si è aperto un ufficio a Hollywood dove si occupa della produzione di film pro-guerra. Le persone che lavorano lì sono le stesse che hanno provato a ostacolare Apocalypse Now di Francis Ford Coppola perché, al contrario, era contro la guerra. Io credo molto nel potere del cinema, anche Goebbels ci credeva, pensava che fosse uno strumento perfetto per influenzare le menti. Sono tuttavia un regista troppo piccolo per avere questo tipo di velleità ma mi dico: se non riesci a cambiare il mondo, cambia almeno il tuo.

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