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Vizi privati e pubbliche virtù di Emidio Greco

Il regista difende il suo film, tra i fischi, alla Festa del cinema di Roma.
di Claudia Resta

Il film

mercoledì 31 ottobre 2007 - Incontri

Il film
Un professore universitario quarantenne molto affermato è corteggiato dalle donne, verso le quali mostra disponibilità. In realtà è anche chiuso nelle sue condizioni di privilegio, usate come uno schermo difensivo tra sé e la realtà, verso la quale ha un totale rifiuto. Il destino incrina questo sistema perfetto quando nelle tasche di un suo studente suicida la polizia trova un foglio di carta con il nome e il telefono del protagonista.
Una pellicola che ha fatto discutere e ha sollevato aspre critiche alla sua presentazione, e che è stata difesa nel suo apparato narrativo proprio da Greco alla conferenza stampa, a Roma.

Il film è una creatura sua o mediata con altri?
Ovviamente ho chiesto il parere tecnico del missatore e degli altri che occorrono al momento d'ultimazione, ma se la domanda è se ho bisogno di chiedere consigli o consultarmi con qualcuno, in linea generale faccio tutto da solo. Gli attori invece li ho scelti per la loro bravura: ognuno ha il fisico perfetto per il suo ruolo.

Che significato ha questo titolo?
Prima di tutto "uomo privato" perché viene raccontato il privato di questo personaggio. In secondo luogo, il privato è ciò che a questo personaggio viene tolto. Lui che cerca di preservare la sua intimità, scopre che qualcuno lo segue e fa un documentario su di lui. Ecco la straordinaria attualità, insita nella difficoltà di preservare il proprio io.

A chi si è ispirato per la storia?
Detesto le autobiografie, ma questa può essere considerata un'autobiografia fantasticata. Il discorso autoreferenziale è forte. Volevo dare più anni al protagonista, poi però avevo paura che il suo comportamento fosse letto come una crisi senile. Il cambiamento più grande dall'idea iniziale è stato togliere 15-20 anni al personaggio principale.

La struttura narrativa è volutamente provocatoria?
Certo. Nella prima parte si fa un documentario sul personaggio, poi la storia sembra virare verso il giallo, poi un rigonfiamento narrativo che è il congresso. Questo perché detesto la psicologia come centro della narrazione. C'è per me, quindi, la difficoltà di far conciliare la narrativa con il rifiuto di consequenzialità, di un rapporto causa-effetto.

Come vuol far sentire lo spettatore?
Non deve sentirsi forzato o costretto alla lettura di una storia. È molto più gradevole il solletico all'intelligenza. A partire dagli anni '70 si è sentita la necessità di raccontare ma anche la necessità di evitare il racconto convenzionale, anche se ben pochi lo fanno.

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