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Bruce Willis: eroe per caso

Bruce Willis interpreta per la quarta volta lo sbirro “duro a morire”. Die Hard fa il restyling e (ri)torna spettacolare.
di Marzia Gandolfi

Il film

lunedì 15 ottobre 2007 - Incontri

Il film
Era il 1988 ed era la vigilia di Natale quando John McClane, poliziotto di New York, raggiunse a Los Angeles la moglie occupata presso una compagnia giapponese. Proprio nel grattacielo della prestigiosa società un gruppo di criminali tedeschi prese in ostaggio gli invitati al party natalizio. Un diversivo per svaligiare il caveau. Senza aiuto alcuno John bloccò l'azione dei banditi perfettamente equipaggiati. Dentro un grattacielo di cristallo inizia la saga di McClane, eroe per caso che fuori dalla propria 'giurisdizione' si farebbe volentieri i fatti suoi.
Se Trappola di cristallo stabilisce il personaggio e il suo ambito di azione, i successivi Die Hard (58 minuti per morire – Die Harder, 1990 e Die Hard – Duri a morire, 1995) ripetono puntualmente il meccanismo aggiornando l'appeal della serie.
Nel quarto episodio, Die Hard – Vivere o morire, il dispositivo non cambia e rilancia con un sapiente restyling il poliziotto McClane (promosso detective) di Bruce Willis. Separato dalla moglie, strappata al pericolo nei primi due episodi e (mal) sopportato dalla figlia in età da college, McClane maledice ancora una volta la coincidenza che lo ha costretto nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Lo stesso protagonista confessa al giovane hacker, che è "costretto" a salvare da numerosi attentati, l'eroismo involontario delle sue azioni. McClane, lontano da essere un supereroe o un veterano incazzato del Vietnam, incarna piuttosto un eroe vulnerabile che combatte una guerra solitaria mentre fuori da un grattacielo, da un aeroporto, da una scuola o da una centrale del gas, polizia, FBI e agenti antiterrorismo si scontrano, rivendicando competenze e altre sciocchezze. Bruce Willis, esasperando il carattere sornione del suo personaggio e assecondandone gli aspetti ironici, torna a interpretare a cinquantadue anni suonati e "spettacolarmente" portati, un action muscolare aggiornato all'era digitale. Il Die Hard di Len Wiseman è un cinema che si trasforma in gioco, vivendo soprattutto in funzione della conoscenza cinematografica dello spettatore, in grado di riconoscere nel materiale narrativo, iconografico e linguistico i rimandi più o meno consapevoli agli altri episodi della serie. Contro il nuovo cattivo (homo virtualis), che colpisce il mondo impiegando una tastiera, McClane (homo habilis) contrappone una competenza pratica, impugnando pistole o estintori e guidando elicotteri o tir a rimorchio. Nell'era digitale degli (anti)eroi disincarnati, Bruce Willis rivendica l'eroe 'analogico' che conosce la fatica del mestiere (quello dell'attore e quello dello sbirro), lo sforzo dei muscoli e il sudore della fronte.

Interpretando McClane
Quando mi chiamarono per interpretare John McClane avevo appena trent'anni e avevo alle spalle soltanto l’esperienza televisiva. Mi resi subito conto che mi era stato offerto un grandissimo ruolo, e che stavo per vivere qualcosa di veramente unico e importante. In questo personaggio riscopro tutto quello che ero ventidue anni fa, ritrovo lo spirito del New Jersey, del sud del New Jersey dove sono cresciuto. John McClane non ha subito negli anni un’evoluzione, non è molto cambiato, naturalmente è diventato più vecchio, forse un pochino più lento nelle reazioni e nei movimenti, sicuramente non è più veloce e rapido com’era all’inizio della serie. Con gli anni è divenuto più irritabile, irascibile e decisamente suscettibile. Nell’interpretarlo non posso prescindere dai miei cinquantadue anni. Nel 2007 non salto e non rimbalzo più come facevo quando ero più giovane, sono ovviamente più lento a buttarmi dalle auto in corsa, mi faccio molto più male di quanto non succedesse prima e soprattutto devo competere sul set con ragazzi più giovani, alcuni dei quali non erano neanche nati quando feci il primo Die Hard. Mi sono concentrato su come sopravvivere a tutto questo e mi sono sempre rialzato, nonostante le ferite e qualche inevitabile incidente capitato durante le riprese. Ma adesso il film è finito, mi sono ripreso dalla stanchezza della performance e sono davvero soddisfatto del risultato.

Umorismo e pallottole
Le battute sardoniche del mio personaggio mi appartengono, sono il frutto del mio lavoro, il risultato di quello che faccio quando interpreto John McClane. L’ironia del mio eroe è un elemento di continuità, io sono l’unico, eccetto un paio di componenti della troupe, ad essere presente sin dal primo episodio. In questi film ho sempre fatto cose incredibili che hanno reso necessaria l’ironia. Die Hard non è un documentario è intrattenimento puro, dunque…

I muscoli di Hollywood: Rocky Balboa e John McClane
Come è stato per Stallone, così è stato per me, portare di nuovo sullo schermo i nostri personaggi comportava un grosso rischio. Entrambi abbiamo lavorato sodo per riuscire nell’impresa, il pubblico reclamava Balboa e McClane. Desideravano rivedere i loro eroi sul grande schermo. Tutto questo è bello e stimolante ma se questi film non avessero avuto il successo che hanno avuto, sarei magari finito di nuovo in qualche programma televisivo. Siamo stati fortunati, abbiamo saputo pianificare e realizzare delle pellicole all’altezza delle precedenti. Non è stato facile perché ogni venerdì esce un film nuovo in sala, gli spettatori chiedono uno standard elevato e la pressione ricade inevitabilmente sugli attori protagonisti.

Il masochismo di McClane
A volte penso davvero che a McClane importi poco di risolvere i problemi, quello che conta per lui è il sangue da versare e il dolore da provare. E questo è decisamente masochismo.
Nel 1987, quando abbiamo realizzato il primo Die Hard, eravamo tutti d’accordo nel creare un personaggio che rimanesse in piedi anche dopo aver sfondato una vetrata. Sarei dovuto morire dopo un episodio del genere e invece, contro ogni logica, sopravvivevo e andavo avanti. Non importa se nel corso dell’avventura McClane venga ferito dalle pallottole, rimanga schiacciato o sia costretto a camminare a piedi nudi sui vetri, lui non si rompe. Tutto questo fa parte della mitologia e della continuità di questa serie, come se stessimo scrivendo un piccolo manuale di istruzione per il John McClane junior che verrà quando io sarò troppo vecchio per poterlo interpretare. McClane ha un forte senso dell’onore, non lascerà mai che una persona innocente venga colpita o ferita, ha una sana mancanza di rispetto nei confronti dell’autorità, adora gli ascensori e braccherà sempre i cattivi.

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