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Ken Loach: sono realista

In questo mondo libero racconta attraverso la storia di una donna il mondo del precariato.
di Tirza Bonifazi Tognazzi

Il film

sabato 1 settembre 2007 - News

Il film
Dopo Il vento che accarezza l'erba lo sceneggiatore Paul Laverty aveva voglia di gettare uno sguardo contemporaneo sulla Gran Bretagna. Quella che inizialmente doveva essere la storia di tre ragazzi che lavorano in un capannone alle prese con prodotti provenienti da tutto il mondo, si è presto trasformata nella storia di Angie, un personaggio pieno di fascino ed energia, capace di fare un mestiere duro e penetrare il mondo lavorativo maschile. Ken Loach, che ha fatto dell'immigrazione e della classe operaia il suo marchio di fabbrica e che già si era confrontato con il precariato nel documentario The Flickering Game, punta il dito sullo sfruttamento del lavoro temporaneo attraverso la figura di Angie. "La cosa che ci interessava era sfidare la convinzione secondo la quale la spregiudicatezza imprenditoriale è l'unico modo in cui la società può progredire", ha dichiarato il regista inglese che abbiamo incontrato in occasione della presentazione del suo film alla Mostra di Venezia.

Lei utilizza temi universali basati su storie individuali. Con il tempo è divenuto più pessimista?
Ken Loach: Io, Paul e Rebecca (Laverty e O'Brien, rispettivamente sceneggiatore e produttrice del film, Ndr) cerchiamo di raccontare storie personali che esplorino la psicologia umana e il contesto in cui vivono che le ha rese le persone che sono. Non credo di essere diventato pessimista, ma spero di essere più realista oggi. Il modo in cui Angie, la protagonista del film, si comporta è esattamente il modo in cui la società in cui vive vuole che si comporti. Paul Laverty: La storia ci offriva innumerevoli possibilità di sviluppo e percorsi narrativi. Abbiamo decisa di raccontarla attraverso il punto di vista di Angie perchésapevamo che era quello con il quale un maggior numero di persone si sarebbe immedesimato. Rebecca O'Brien: Inoltre abbiamo scelto una figura femminile perché è più scioccante vedere che quello che accade è causato da una donna.

Quanto serve il cinema impegnato?
Ken Loach: Non lo so, io faccio solo film. Certo, è ovvio che cerco di sollevare domande, reazioni, riflessioni, ma non ho le risposte. Il progresso, come abbiamo cercato di mostrare nel film, non lascia molte alternative. È importante però che la gente non pensi che sia giusto che qualcuno deve sopravvivere senza un lavoro mentre altri vivono nell'agiatezza della ricchezza. La natura non funziona così. La situazione è molto seria e importante, tutto dipende da noi, da quello che faremo. Tra dieci anni le cose potrebbero andare in un modo o nell'altro. Il film di denuncia è importante più che altro perché mostra quello che i media maggiori non mostrano. Il cinema è un'arte complicata, non è un romanzo, una poesia o un dipinto, un'opera realizzata da una sola persona. È un'esperienza collettiva e in quanto tale bisogna riuscire a mettere insieme il collettivo e trovare un'unica visione.

Cosa ci possiamo aspettare in futuro?
Paul Laverty: Ancora non abbiamo iniziato a lavorare su nuovi progetti, ma sarebbe davvero interessante soffermarsi sul mercato cinese e vedere come si evolve da qui a dieci anni. Ci sono dei supermercati e dei negozi in Inghilterra dove la maggior parte dei prodotti proviene dal Bangladesh. Lì la gente lavora in condizioni davvero drammatiche, a orari impossibili e per pochissimi soldi. Un universo che in fondo non si differenzia in maniera molto netta dalla situazione lavorativa a Manchester nei primi anni '80.

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