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Il destino di Viggo Mortensen

L'ex Aragorn torna a vestire i panni di un guerriero letterario nel film di Agustín Díaz Yanes in uscita il 22 giugno.
di Tirza Bonifazi Tognazzi

Arturo Pérez-Reverte e Alatriste

martedì 19 giugno 2007 - News

Arturo Pérez-Reverte e Alatriste
Nato in Spagna nel 1951 Arturo Pérez-Reverte ha iniziato la sua carriera come giornalista, lavorando come reporter di guerra in alcuni dei luoghi più "caldi" del mondo come la Croazia e Sarajevo. In seguito al successo conseguito per il thriller "Il maestro di scherma", pubblicato nel 1988, Pérez-Reverte abbandona il giornalismo per diventare romanziere a tempo pieno. Nel 1996 dà alle stampe il primo di una serie di quattro romanzi storici, ambientati nella Spagna del XVII secolo ("Capitano Alatriste","Il sole di Breda", "Purezza di sangue", "L'oro del re"), che ha come protagonista Alatriste. Presentato alla prima edizione della Festa del cinema di Roma, Alatriste trova il volto cinematografico in Viggo Mortensen, che ci racconta come è stato vestire i panni del soldato spagnolo nel film di Agustín Díaz Yanes Il destino di un guerriero.

Cosa le è piaciuto del romanzo di Arturo Pérez-Reverte?
Mi è piaciuto subito, perché è una storia molto complessa, con più personaggi e più ombre di quanto non lasci intendere il titolo. Non si tratta di un semplice film d'azione come ci si potrebbe aspettare visto che è ambientato in Spagna nel XVII secolo e ci sono combattimenti con la spada. Il titolo che è stato scelto qui in Italia, che non è quello che ha dato Arturo Pérez Reverte al suo romanzo, è fuorviante. Non è soltanto il destino di un guerriero, è molto di più. È una storia reale con personaggi reali e contiene un elemento molto umano anche se è ambientato in un momento cruciale della storia e riguarda un cittadino di un impero mondiale. Allo stesso modo il nuovo film a cui sto lavorando, dove sarò un professore nella Germania degli anni '30, non parla di quello che accadeva lì in quegli anni, ma di piccoli problemi umani e quotidiani.

Quali sono le qualità di Alatriste che la hanno maggiormente colpito? E cosa le ha dato questa esperienza?
La sua fedeltà nei confronti degli amici e il valore che attribuisce alla parola data. Purtroppo non sempre riesce a mantenerla perché neanche lui è un uomo perfetto, beve troppo, perde le staffe e pecca di orgoglio. Ma il codice etico al quale si attiene mi ha colpito. Alatriste in fondo è una persona semplice e farebbe qualsiasi cosa pur di mantenere la parola data. L'ho trovato un messaggio molto interessante. Interpretando il capitano Alatriste ho imparato molte cose sulla Spagna, non solo sulla sua storia. Ho conosciuto l'equivalente di oggi di Alatriste, persone talmente prese dal loro orgoglio che è difficile avvicinarle. Ho scoperto delle cose buone nell'orgoglio e nella tenacia incontrando alcune persone che vivono sulle montagne in Spagna, nei luoghi in cui giravamo. Conoscendole mi sono reso conto del grande valore della loro indipendenza e autosufficienza.

Come si è preparato per la parte?
Se devo interpretare il diavolo vado a cercare nella casa del diavolo. Mi chiedo qual è la casa del diavolo, cosa fa, dove va, cerco di capire dentro di me quale sia il mio lato diabolico. Questo vale per tutti i personaggi che interpreto: leggo la sceneggiatura e mi chiedo cosa succede prima della pagina uno, mi faccio un'idea sul personaggio immaginando le sue provenienze. Lavorando in questa maniera mi sento più rilassato e sicuro e ho una base sulla quale improvvisare, qualunque cosa accada sul set. Quello che mi interessa è che ci sia una buona storia e che sul set ci sia un clima favorevole. Io, Enrico Lo Verso e Francesca Sartori (la costumista, NdR) eravamo gli unici stranieri e sia io che Enrico siamo stati molto influenzati nel costruire i nostri personaggi da questo grande orgoglio spagnolo che ci circondava.

Come si è trovato a interpretare il cattivo?
Mi sono divertito moltissimo. Nel film di Agustín Díaz Yanes io sono ancora più cattivo di Alatriste perché uccido quasi per il piacere di uccidere, per il piacere di ossequiare il potere. Nell'interpretare questo personaggio mi sono reso conto che il mio unico riferimento doveva essere la mia spada e quindi in realtà nei miei dialoghi usavo la spada piuttosto che la parola. Non mi era capitato spesso di interpretare la parte del villain, invece dal Destino di un guerriero in poi ho inanellato una serie di cattivi. In Milano -Palermo, di Claudio Fragasso sarò il capo di tutti i cattivi, nel film tv La Baronessa di Carini di Umberto Marino (remake dello sceneggiato di culto degli anni '70 L'amaro caso della baronessa di Carini, NdR) sarò il cattivissimo Don Mariano D'Agrò, che negli anni '70 fu di Adolfo Celi. Al cinema la parte del cattivo è facile da indossare anche perché l'equilibrio drammaturgico è sbilanciato a tuo favore. Perché un cattivo funzioni deve avere un contro altare buono, naturalmente. Nel Destino di un guerriero le spade sono vere così come i duelli. Non puoi essere un vero cattivo se non hai fiducia nella persona con cui stai lavorando e sul set grandissima energia mi è venuta da Viggo e dal regista. Tutti quelli che hanno contribuito alla realizzazione del film ci hanno messo grande passione e un amore smisurato.

Ha incontrato qualche difficoltà sul set?
Sì, la prima sera, quando ho girato la prima scena (quella delle pecore girata a Madrid). Ero appena arrivato e avevo bisogno di piazzarmi sul set, come capita sempre all'inizio quando lavori all'estero. Ti senti sempre un po' spiazzato perché non conosci nessuno e nessuno ti conosce. Per me c'era anche il problema della lingua, non parlavo ancora lo spagnolo e non riuscivo bene a dialogare con gli altri. In seguito, dopo i primi tentennamenti, è stata una passeggiata.

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