Architetto, ha prestato la sua attività nel mondo del cinema come scenografo, dapprima in collaborazione con Mario Chiari, poi da solo, facendosi ben presto notare come uno degli scenografi migliori degli anni Sessanta e contribuendo in modo significativo alla ripresa artistica del cinema italiano di quegli anni. Tra le sue opere più significative, escludendo quelle realizzate in collaborazione con Mario Chiari, meritano di essere ricordate le scenografie di Rocco e i suoi fratelli (1960, Luchino Visconti), di un episodio di Boccaccio '70, Il lavoro (1961, Luchino Visconti), e de La donna scimmia (1963, Marco Ferreri). Dotato di notevole senso estetico, Garbuglia si distingue soprattutto per la sensibilità con cui dimostra di saper evocare la drammaticità di alcune situazioni, grazie alla sua particolare attenzione nella resa visiva degli ambienti in cui agiscono i personaggi. Da questo punto di vista, ha dato forse la prova più significativa delle sue indiscusse qualità artistiche nelle splendide scenografie de Il gattopardo (1963, Luchino Visconti), certamente la sua opera più matura, in cui ha dimostrato di saper cogliere con estrema efficacia il sottile senso di disfacimento e di morte presente in tutto il film (così come in tutto il romanzo di Tomasi di Lampedusa) e che riaffiora improvvisamente, quando meno ce l'aspetteremmo; basterà citare, a questo proposito, la perfetta ricostruzione, concreta e plebea, dell'arredamento della "stanza dei pitali", quale si offre al disincantato sguardo di don Fabrizio, principe di Salina (Burt Lancaster), nel momento stesso in cui esce dalla sala da ballo, in cui giovani coppie spensierate in abiti sfarzosi volteggiano in turbinosi giri di waltzer.